PROGRAMMA QUADRO PER L´ATTIVITA´ DI SORVEGLIANZA E RICERCA SUI VULCANI ATTIVI ITALIANI

 

Programma Quadro 2000-2002 versione pdf

 

INDICE

1. Premessa

2. Stato attuale della sorveglianza

2.1 Sorveglianza con metodologie geofisiche

2.2 Sorveglianza con metodologie geochimiche

3. Progressi nello stato delle conoscenze sui vulcani italiani

Vesuvio

Campi Flegrei

Ischia

Vulcano

Stromboli

Etna

Pantelleria

4. Il Programma Quadro

4.1 Criteri generali

4.2 Descrizione delle linee di ricerca

4.2.1 Sviluppo di metodologie di sorveglianza

4.2.1.1 Sorveglianza permanente

4.2.1.2 Miglioramento di reti e metodi di sorveglianza

4.2.1.3 Sviluppo di nuove metodologie

4.2.2 Scenari eruttivi e valutazione della pericolosità

4.2.3 Definizione del Rischio, livelli di allerta e gestione del territorio

4.2.3.1 Rischio

4.2.3.2 Livelli di allerta

4.2.3.3 Gestione del territorio

4.2.4 Sviluppo e applicazione di metodi di telerilevamento

4.2.5 Metodi innovativi ed integrati per lo studio della struttura dei vulcani

4.2.6 Indagini sulle parti sommerse dei vulcani italiani

4.2.7 Campi Flegrei

5. Altre Attività

5.1 Mobilità dei ricercatori

5.2 Iniziative per l´educazione della popolazione esposta al rischio

6. Riepilogo dei problemi affrontati per ciascun vulcano

Questo documento e´ stato elaborato da un gruppo di lavoro nominato dal Sottosegretario alla Protezione Civile prof. Franco Barberi, composto dalle seguenti persone:

Coordinatore : Paolo Gasparini

Componenti: Patrick Allard, Paolo Baldi, Massimo Cocco, Luigi La Volpe, Giovanni Macedonio, Mauro Rosi e Mariano Valenza.

 

 

1. PREMESSA

Dal 1983 il Gruppo Nazionale per la Vulcanologia (GNV) coordina la sorveglianza dei vulcani attivi italiani e promuove lo sviluppo dei sistemi di sorveglianza e delle conoscenze di base necessarie alla valutazione della pericolosità di ciascun vulcano e alla interpretazione dei fenomeni precursori delle eruzioni. Questa attività, indispensabile per intraprendere azioni mirate a ridurre il rischio associato alle eruzioni per le popolazioni che vivono sui vulcani italiani ad elevata pericolosità, viene svolta per conto del Dipartimento della Protezione Civile. Tra i vulcani ubicati sul territorio italiano, vengono considerati ad alta pericolosità quelli che hanno eruttato almeno una volta negli ultimi 1000 anni, e cioè: Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Stromboli, Vulcano, Etna e Pantelleria. I Colli Albani, vulcano la cui ultima eruzione risale a più di 10.000 anni fa, sono interessati da fenomeni di sollevamento del suolo, da intensi sciami sismici e da emissioni gassose diffuse. L´attività geofisica e geochimica su questo vulcano è monitorata dall´Istituto Nazionale di Geofisica in modo adeguato alla dinamica in atto.

Le attività svolte dal GNV per la Protezione Civile hanno avuto nel passato, ed avranno anche nel prossimo triennio 1999-2001, i seguenti obiettivi:

1. Monitoraggio delle aree vulcaniche attive italiane e previsione delle eruzioni

2. Valutazione della pericolosità e del rischio delle aree vulcaniche attive italiane

3. Diffusione delle conoscenze e iniziative per l´educazione della popolazione esposta al rischio

4. Consulenza alle componenti del sistema di Protezione Civile (redazione e aggiornamento dei piani di emergenza, gestione scientifica delle emergenze, iniziative di mitigazione del rischio).

L´attività del GNV si è svolta secondo Progetti Triennali. Per il conseguimento degli obiettivi previsti dai Progetti, il GNV aveva articolato la propria attività in due linee dedicate alla sorveglianza:

1. Sorveglianza dei vulcani attivi con metodologie geofisiche

2. Sorveglianza dei vulcani attivi con metodologie geochimiche

e in tre progetti coordinati per la valutazione della pericolosità e del rischio:

  • Vesuvio

  • Vulcano

  • Etna

Con l´ultimo Progetto Triennale (1996-98) sono iniziati altri due Progetti coordinati: Campi Flegrei e Stromboli.

Qui di seguito viene riassunto lo stato della sorveglianza e delle conoscenze relativo a ciascun vulcano, in quanto esso rappresenta il punto d´inizio del Programma Triennale 1999-2001.

 

 

 

2. STATO ATTUALE DELLA SORVEGLIANZA

 

2.1 SORVEGLIANZA CON METODOLOGIE GEOFISICHE

I fenomeni geofisici che precedono e accompagnano la quasi totalità delle eruzioni vulcaniche sono le variazioni delle caratteristiche dell´attività sismica e le deformazioni del suolo. Inoltre nella letteratura scientifica vengono segnalati casi in cui eruzioni, sia esplosive che effusive, sono state accompagnate da variazioni della intensità del campo geomagnetico, del campo gravitazionale o del campo elettromagnetico. La casistica riportata per questi ultimi fenomeni non è ancora convincente e, sebbene numerosi studi teorici abbiano mostrato come la risalita di masse magmatiche prima di un eruzione possa indurre variazioni misurabili di parametri associati a questi campi, sono necessarie ulteriori approfondite ricerche per la loro utilizzazione come precursori.

Di conseguenza la sorveglianza geofisica di routine delle aree vulcaniche attive, in Italia come negli altri paesi tecnologicamente progrediti, viene effettuata attraverso il monitoraggio dell´attività sismica e delle deformazioni del suolo. Il GNV comunque non ha trascurato di promuovere ricerche che consentissero un progresso di conoscenza sugli altri possibili fenomeni precursori.

In definitiva, il GNV assicura la sorveglianza strumentale continua (24 ore su 24) dei vulcani attivi italiani, utilizzando reti di sorveglianza sismica e di deformazioni del suolo che hanno attualmente la seguente configurazione:

Campi Flegrei, Vesuvio, Ischia

La rete di sorveglianza per i vulcani dell´area napoletana è gestita dall´Osservatorio Vesuviano.

La rete sismica nel suo complesso è costituita da tre reti locali, ubicate su ciascuno dei tre vulcani, e da una rete regionale che si estende ai rilievi carbonatici che circondano la Piana Campana. La rete è formata da 33 stazioni, tutte a breve periodo, che sono così distribuite:

  1. dieci stazioni analogiche (di cui una a tre componenti), sei stazioni digitali (tutte a tre componenti) e un´antenna sismica a 24 canali sul Vesuvio;

  2. cinque stazioni analogiche (di cui quattro a tre componenti) nei Campi Flegrei;

  3. tre stazioni analogiche (di cui una a tre componenti) all´isola d´Ischia;

  4. sei stazioni analogiche (di cui tre a tre componenti) e tre stazioni digitali (tutte a tre componenti) costituiscono infine la rete regionale.

Tutte le stazioni sono centralizzate alla sede dell´Osservatorio Vesuviano. Sono in via di installazione dieci stazioni a larga banda ai Campi Flegrei, al Vesuvio e ad Ischia.

Le deformazioni del suolo sono monitorate da reti geodetiche di diverso tipo per il controllo della dinamica locale. Si è data la preferenza a reti di caposaldi da ribattere periodicamente (reti altimetriche e GPS), mentre relativamente poche sono le stazioni a rilevamento continuo (tiltmetri per la misura delle variazioni di inclinazione del suolo, mareometri per la determinazione delle variazioni della quota della linea di costa e GPS in continuo).

Le reti altimetriche sono generalmente estese ad aree esterne ai vulcani al fine di ottenere riferimenti stabili. La rete di livellazione geometrica dei Campi Flegrei si sviluppa per circa 130 Km e comprende 300 caposaldi organizzati in dieci circuiti concatenati. Tale rete è collegata a quella Vesuviana (che copre l´intera area vulcanica da Napoli a Castellammare con circa 280 caposaldi distribuiti su un area di 300 km2) tramite il tratto di linea costiera Napoli- Mergellina - Napoli Molo Carmine ed il tratto di linea realizzato nell´area centro settentrionale di Napoli; Ë inoltre collegata alla rete della Piana Campana, che si estende per circa 150 Km a Nord dei Campi Flegrei. Le ripetizioni sono previste, salvo periodi di crisi, a cadenza annuale. La rete di livellazione di Ischia si estende per circa 90 Km con 250 caposaldi, ed è integrata da 4 dry-tilts. Anche la rete altimetrica vesuviana è integrata da 4 stazioni dry-tilt.

Dal 1994 sono state istituite le prime reti GPS. Attualmente nei Campi Flegrei sono installati 25 caposaldi GPS di cui 6 costituiscono una sottorete nell´area della Solfatara. Inoltre sono in funzione 4 stazioni GPS permanenti, per le quali è in via di completamento il sistema di trasmissione dati al centro di sorveglianza. Una rete di 22 stazioni GPS è stata istituita nel 1997 ad Ischia, e da allora è stata misurata due volte. Nell´area Vesuviana sono state installate 4 stazioni GPS a registrazione continua, inserite in una rete di ampie dimensioni su cui le misure vengono ripetute ad intervalli programmati.

Le reti tiltmetriche sono costituite da tre stazioni al Vesuvio e quattro ai Campi Flegrei, con sensori costituiti da trasduttori biassiali con risoluzione di 0.1micro rad con teletrasmissione dei segnali all´Osservatorio Vesuviano.

Per il controllo delle deformazioni verticali, sono attive nell´area Napoletana 6 stazioni mareografiche di cui 4 nell´area Flegrea e 1 nell´area vesuviana, mentre sull´isola di Ischia ne sono previste due. E´ in progetto una ristrutturazione di tale rete che prevede la sostituzione dell´attuale strumentazione a registrazione locale su supporto cartaceo con sistemi di acquisizione digitali. Le stazioni sono collegate sia alla rete altimetrica che a quella microgravimetrica.

Parallelamente al controllo altimetrico, vengono effettuati annualmente rilievi microgravimetrici su reti appositamente predisposte, che presentano come nodo comune la stazione assoluta di Napoli. La rete vesuviana è formata da 31 caposaldi. Nell´area dei Campi Flegrei vengono periodicamente monitorate 18 stazioni, ed è prevista l´istituzione di una stazione a registrazione continua, che affiancherà quella già attiva del Vesuvio. La rete gravimetrica di Ischia è costituita da 25 vertici, quasi tutti coincidenti con caposaldi altimetrici. Queste reti vengono misurate con microgravimetri, adottando procedimenti di misura che consentono di definire differenze di gravità fra punti con un errore medio dell´ordine della decina di microgal. Alla sede storica dell´Osservatorio Vesuviano sono state effettuate misure assolute dell´accelerazione di gravità.

Stromboli, Vulcano.

La sorveglianza geofisica dei due vulcani a maggiore pericolosità delle isole Eolie è stata effettuata dall´Istituto Internazionale di Vulcanologia del CNR con sede a Catania.

Nelle isole Eolie è operante una rete sismica, con teletrasmissione dei dati alla sede IIV, formata da 12 stazioni, 6 delle quali sono analogiche a 3 componenti, 5 sono analogiche a una componente ed una è una stazione digitale a larga banda a tre componenti. Quest´ultima, insieme ad una stazione analogica a 3 componenti, è installata sull´isola di Stromboli. Sei stazioni analogiche, di cui cinque a tre componenti, sono installate su Vulcano e Lipari, mentre le restanti stazioni sono installate su ciascuna delle altre isole.

Le deformazioni del suolo a Vulcano vengono monitorate attraverso misure continue (sia tiltmetriche che GPS), campagne periodiche di misure EDM e livellazioni altimetriche. Le deformazioni a Stromboli vengono monitorate attraverso misure in continua in tre stazioni tiltmetriche.

Etna

La sorveglianza geofisica dell´Etna è stata effettuata dall´Istituto Internazionale di Vulcanologia del CNR. La rete sismica dell´IIV è formata da 12 stazioni analogiche, delle quali 8 sono ad una componente, e 4 sono a tre componenti. Queste stazioni sono integrate da 2 stazioni digitali a larga banda a 3 componenti e due stazioni digitali a corto periodo a tre componenti. I segnali sono teletrasmessi alla sede dell´IIV.

Le deformazioni del suolo sono monitorate dall´IIV usando sia misure ripetute periodicamente (trilaterazione geodimetrica-EDM, livellazioni e GPS), che misure tiltmetriche continue con sensori biassiali in 9 stazioni e misure GPS in continuo. La rete del Poseidon è costituita da 12 stazioni clinometriche e 8 estensimetriche a tubo telescopico.

Le variazioni del campo gravimetrico sono registrate con continuità in due stazioni, e periodicamente su un centinaio di caposaldi.

Pantelleria

Attualmente, la sorveglianza geofisica consiste solamente nella ripetizione di misure su caposaldi altimetrici e gravimetrici che attraversano l´intera isola per monitorare movimenti verticali del suolo e variazioni del campo gravimetrico.

Oltre alla gestione delle reti su menzionate, il GNV ha promosso una serie di ricerche che hanno una notevole ricaduta per il miglioramento della sorveglianza, le più interessanti delle quali sono:

  1. lo sviluppo di tecniche sismometriche e dilatometriche in pozzi profondi. Le registrazioni ottenute in tali condizioni consentono un miglioramento di diversi ordini di grandezza della soglia di rivelabilità, soprattutto in aree ad elevato rumore urbano, un allargamento della banda di frequenze osservabile, e forniscono un segnale sismico scevro delle complicazioni dovute alla disomogeneità degli strati più superficiali e quindi maggiormente legato alle caratteristiche della sorgente sismica. Tali ricerche, cofinanziate anche da un progetto CEE, sono iniziate con la installazione di una stazione sperimentale di circa 200 m di profondità sui pendii del Vesuvio;

  2. l´applicazione di metodologie sismiche innovative per lo studio del tremore vulcanico e dell´attività sismica legata alle esplosioni di Stromboli. Esse, effettuate attraverso due campagne di circa un mese con array sismici e una fitta rete di sismometri a larga banda hanno consentito di identificare il meccanismo fluidodinamico di origine del tremore e il sistema di forze che innesca e accompagna le esplosioni. Queste ricerche hanno messo in evidenza che la maggior parte delle esplosioni sono innescate da meccanismi che hanno origine nei 200 m più superficiali, ma alcune volte sono associate a sorgenti molto più profonde (circa 2-3 km). Queste ricerche costituiscono un interessante approccio quantitativo al problema dell´origine e conoscenza delle esplosioni anomale;

  3. l´installazione di una rete permanente per la misura delle variazioni differenziali del campo geomagnetico all´Etna;

  4. l´applicazione di metodi geoelettrici e magnetotellurici che ha rivelato l´esistenza di variazioni temporali della resistività elettrica all´Etna ed a Vulcano, probabilmente associate a variazioni nelle caratteristiche fisiche degli acquiferi superficiali in seguito all´apporto di gas profondi.

  5. La sperimentazione ed applicazione di metodologie di telerilevamento (SAR, fotogrammetria, ecc.) per la definizione spaziale continua del campo di deformazione.

 

2.2 SORVEGLIANZA CON METODOLOGIE GEOCHIMICHE

Un´eruzione vulcanica è preceduta ed accompagnata dalla risalita di masse magmatiche e dal trasferimento di fluidi ed energia verso la superficie. La migrazione di masse magmatiche verso la superficie è accompagnata dalla progressiva essoluzione di costituenti volatili (H2O, CO2, SO2, H2S, HCl, He etc..) che danno luogo alla formazione di una fase gassosa (bolle) separata dalla fase silicatica fusa. Questa fase gassosa, per la sua elevata mobilità, può raggiungere la superficie prima del magma e nei periodi intereruttivi può dare luogo a diverse forme d´attività superficiale: attività fumarolica, attività idrotermale, degassamento diffuso più o meno intenso. Questi movimenti causano evidenti variazioni in parametri chimici e fisici in profondità che si manifestano come aumento della sismicità, deformazione del suolo, cambi nelle proprietà chimico-fisiche di fumarole e sorgenti, aumento nel degassamento diffuso etc..

L´approccio più opportuno è quello di interpretare le variazioni dei parametri geochimici sulla base della più ampia conoscenza possibile del sistema da sorvegliare. In altre parole, dai dati disponibili si costruisce un modello capace di spiegare tutte le variazioni osservate. L´approccio modellistico, che per sua natura non è necessariamente univoco (possono esistere più modelli plausibili che spiegano le variazioni osservate), consente di programmare opportune osservazioni che tendono sempre di più a ridurre il numero di modelli possibili ed a individuare i parametri ed i siti più idonei per una proficua sorveglianza dell´attività vulcanica .

Queste considerazioni sono state alla base dei programmi di sorveglianza geochimica dei vulcani attivi italiani negli ultimi venti anni ed unitamente alle informazioni derivanti dalla sorveglianza geofisica hanno consentito una efficace gestione di varie crisi (Flegrei 1982-84; Vulcano 1978 , 1988, 1996; Etna 1991,1997 etc. ).

Le misure di parametri geochimici che sono state effettuate nell´ultimo triennio per la sorveglianza delle aree vulcaniche attive italiane, possono essere in prima istanza suddivise in due categorie:

misure discontinue - consistono essenzialmente nell´analisi chimica ed isotopica delle acque di falda, dei gas fumarolici o emessi dal suolo in forma diffusa, nella misura dell´output di massa e di energia dalle fumarole mediante tecniche dirette e remote. La frequenza delle indagini discontinue è stata commisurata al livello di attività di ciascun apparato vulcanico.

misure continue - vengono effettuate tramite stazioni remote fisse o mobili. I dati acquisiti possono essere memorizzati in loco o trasmessi a distanza.

Di seguito verrà dato un quadro sintetico delle attività di sorveglianza geochimica per ciascuna delle aree vulcaniche attive italiane effettuate nel triennio 1996-98.

Campi Flegrei

Nell´ambito dei progetti del GNV, attualmente vengono svolte le seguenti attività:

monitoraggio discontinuo

  • rilievi mensili (chimici ed isotopici) sui fluidi della fumarola BG;

  • rilievi periodici del flusso di CO2 dal suolo all´interno del cratere;

  • rilievi periodici (chimici ed isotopici) su alcuni punti d´acqua dell´area flegrea;

  • rilievi sporadici del flusso di CO2 nella zona di Monte Nuovo.

monitoraggio continuo

  • rilevamento continuo del flusso di CO2, dal suolo in un punto all´interno del cratere della Solfatara (e misura della temperatura al suolo e dei parametri meteorologici);

  • rilevamento continuo della temperatura, conducibilità e livello piezometrico in un pozzo sul fianco occidentale del cratere Solfatara.

Ischia

Considerato il livello di attività di quest´isola vulcanica, le attività di sorveglianza si sono limitate a due campagne/anno di campionamento e all´analisi di un selezionato numero di sorgenti termali e pozzi (una delle due campagne prevede anche il prelievo di gas da alcune fumarole). Non è operante alcuna stazione per il monitoraggio continuo.

Vesuvio

Il sistema del Somma-Vesuvio in questo periodo di quiescenza è caratterizzato da un livello di attività vulcano-idrotermale relativamente basso. Le maggiori evidenze di questa attività sono:

  1. le deboli emissioni fumaroliche dell´area craterica e l´attivià fumarolica sottomarina a pochi chilometri dal cratere, nella zona di Torre del Greco;

  2. la presenza nelle pendici meridionali del sistema vulcanico di acque sotterranee con contenuti anomali in CO2.

monitoraggio discontinuo

  • 4-5 campionamenti per anno delle fumarole del bordo craterico;

  • 2-3 campionamenti per anno delle fumarole dell´interno del cratere;

  • campagne periodiche di misura dei flussi di CO2 in un´area selezionata del bordo craterico eseguite con frequenza variabile fra un minimo di 4 campagne per anno ad un massimo di 4 campagne per mese;

  • campionamento ed analisi (chimica ed isotopica) delle acque di 10 pozzi dell´area vesuviana con frequenza bimestrale;

  • misura annuale della radioattività totale gamma nelle acque di 40 pozzi dell´area Vesuviana.

monitoraggio continuo

  • due stazioni di misura della temperatura del suolo in continuo ubicate all´interno del cratere. Tali stazioni non sono dotate di trasmissione automatica dei dati che vengono scaricati 2-3 volte all´anno in occasione del campionamento delle fumarole interne al cratere (OV, IGGI);

  • l´acquisizione in continuo di parametri chimici e chimico-fisici (T, LP, pH, Eh, Cond.) mediante una sonda "pilota" installata in un pozzo nell´area di Torre Annunziata. La sonda non è dotata di trasmissione in continuo dei dati che vengono scaricati mensilmente.

Vulcano

Monitoraggio discontinuo

Vengono effettuate campagne periodiche con frequenza mensile per la determinazione della composizione chimica ed isotopica dei fluidi fumarolici (area craterica e spiaggia di Levante) e delle acque di falda. Con la stessa periodicità vengono anche misurati i flussi di CO2 diffusa dal suolo nell´intera area abitata di Vulcano Porto mediante una maglia fissa e regolare di circa 60 punti. Tali misure consentono di acquisire informazioni più dettagliate sulla distribuzione areale delle anomalie e sulle variazioni temporali che possono intervenire in relazione alla attività vulcanica. Fino al 1993 è stato possibile effettuare misure dirette di output di massa e di energia dalle fumarole del cratere, successivamente, per le mutate condizioni del campo fumarolico, è divenuto estremamente pericoloso effettuare tali misure. Sono invece continuate le misure indirette del flusso di SO2 mediante COSPEC.

L´enorme mole di dati acquisiti nell´isola di Vulcano ha consentito la formulazione di modelli sulla genesi dei fluidi e sulla loro circolazione nel sistema vulcanico. Attraverso questi modelli è stato possibile interpretare le variazioni temporali di diversi parametri geochimici in relazione all´evoluzione dell´attività vulcanica. Sono state infine elaborati modelli numerici di dispersione di gas in atmosfera (CO2, SO2), validati da misure di concentrazione nell´aria ad un metro dal suolo. Questi modelli hanno consentito di individuare le aree e le condizioni meteorologiche per cui il gas hazard può assumere valori elevati.

Monitoraggio continuo

Dal 1984, nell´isola è in funzione un sistema per il monitoraggio continuo di alcuni parametri geochimici nelle fumarole (temperatura e capacità riducente), nei suoli (flussi di CO2) ed in atmosfera (CO2) . Tale sistema è costituito da 2 stazioni per il monitoraggio di temperatura e capacità riducente delle fumarole rispettivamente ubicate nell´area craterica (La Fossa) ed in prossimità della vasca di fango della spiaggia di Levante. In totale vengono acquisiti dati di temperatura per 5 fumarole e di capacità riducente per 3 fumarole. Per quanto riguarda le misure di flusso di CO2 dai suoli sono operanti tre stazioni (Grotta dei Palizzi, Campo Sportivo, Centrale Enel) che in totale effettuano misure in 9 punti nel suolo e 3 in atmosfera. Un´altra stazione, ubicata al Centro Carapezza, monitorizza i parametri meteorologici (T, P, piovosità, umidità rel., velocità e direzione del vento). I dati acquisiti da tutte le stazioni remote vengono trasmessi via satellite all´IGF di Palermo.

Stromboli

Monitoraggio discontinuo

La sorveglianza geochimica in quest´area si trova ancora in una fase embrionale. Le indagini fino ad oggi svolte sono consistite essenzialmente in misure discontinue della composizione chimica ed isotopica dei gas emessi dalle fumarole accessibili poste nella parte sommitale del cratere.

La ripetizione di queste misure nel corso degli ultimi anni ha consentito di individuare una piccola fumarola stabile nel tempo con T uguale a quella di condensazione del vapore per la quota e con la chiara presenza di una componente gassosa profonda.

E´ stata eseguita una campagna di misure del flusso di CO2 dal suolo. I dati hanno rlevato flussi molto alti nella zona craterica e chiare anomalie in corrispondenza dell´asse vulcano-tettonico principale dell´isola. Anomalie di flusso e concentrazione di CO2 sono presenti anche alla periferia del cono vulcanico, come nella zona di Pizzillo. Questi studi hanno permesso di identificare sul bordo del cratere e alla periferia alcuni siti idonei per la sorveglianza continua di parametri geochimici.

Attraverso misure COSPEC è stato controllato l´output di SO2 dai crateri sommitali.

Monitoraggio continuo

In quest´area allo stato attuale, non è operante alcun sistema di monitoraggio continuo di parametri geochimici. Sono stati effettuati alcuni brevi esperimenti di monitoraggio continuo della Capacità Riducente (con registrazione in loco) delle fumarole sul bordo esterno del cratere

Etna

Le osservazioni geochimiche condotte negli ultimi anni con sistematicità sull´Etna hanno evidenziato la stretta correlazione tra variazioni di alcuni parametri ed attività vulcanica. In tal senso un prezioso contributo è derivato anche dal fatto che l´Etna ha avuto nell´ultimo decennio uno stato di attività a livelli elevati, basta ricordare che l´eruzione 1991-93 è stata una delle eruzioni più importanti dell´epoca storica.

Un nuovo approccio geochimico è quello di tentare, attraverso modelli termodinamici di solubilità di volatili nei magmi, di modellare l´apporto di energia convettiva negli acquiferi rilevabile con aumenti di temperatura. Inoltre con l´ausilio di questi modelli si potrebbe stimare l´entità di materiale eruttabile.

Le attività di sorveglianza attualmente effettuate sono le seguenti:

Monitoraggio Discontinuo

Queste attività di sorveglianza sono iniziate in modo sistematico verso la fine degli anni 80. Esse consistono in misure del flusso di CO2 dai suoli in alcune aree pedemontane dell´edificio ed in corrispondenza di importanti discontinuità strutturali del vulcano. Parallelamente si è tenuto sotto controllo il chimismo delle acque di pozzi e sorgenti distribuiti sull´intero edificio vulcanico, nonchè il chimismo e la composizione isotopica di alcune manifestazioni gassose presenti a varie quote del vulcano attraverso campionamenti mensili.

Nell´ambito delle misure discontinue vengono infine effettuati rilievi COSPEC per la stima dei flussi di SO2 dai crateri sommitali.

L´elevato numero di informazioni geochimiche acquisite in quest´area, soprattutto in termini di variazioni temporali in periodi pre, sin e post eruttivi, dovrebbe consentire la formulazione di un modello geochimico in grado di interpretare le variazioni osservate in relazione all´attività del vulcano.

Monitoraggio Continuo

Le prime esperienze di monitoraggio continuo di parametri geochimici in quest´area sono iniziate durante l´eruzione del 1989. In particolare sono stati monitorati i flussi di CO2 e la concentrazione di Radon nei gas del suolo in corrispondenza della frattura che ha interessato la strada provinciale Zafferana Etnea-Rifugio Sapienza. Allo stato attuale sono in funzione due stazioni per il monitoraggio di CO2 e Rn dai suoli e di una stazione per i parametri meteo. Inoltre vengono misurate in continuo, con registrazione in loco, le temperature delle acque di due gallerie drenanti (Valle S. Giacomo e Ponte Ferro). Nel 1994, il monitoraggio continuo dell´area Etnea era stato potenziato nell´ambito del progetto Poseidon. Tale rete era costituita da 4 stazioni per il monitoraggio di gas nei suoli (CO2, Rn e parametri meteo), 6 stazioni per il monitoraggio delle acque nei pozzi (pH, T, Eh, PCO2 e conducibilita´ elettrica). Purtroppo, in seguito a problemi politico-amministrativi, questo sistema non è stato adeguatamente gestito e pertanto, allo stato attuale, necessità di un auspicabile radicale intervento di manutenzione.

Pantelleria

Monitoraggio Continuo

In quest´area, allo stato attuale, non e´ operante alcun sistema di monitoraggio continuo di parametri geochimici.

Monitoraggio Discontinuo

Le attività di sorveglianza fino ad oggi effettuate nell´isola consistono in analisi della composizione chimica ed isotopica delle principali emissioni fumaroliche e di acque termali e non. In relazione al basso livello di attività vulcanica, tali misure sono state effettuate con cadenza annuale.
 

 

3. PROGRESSI NELLO STATO DELLE CONOSCENZE SUI VULCANI ATTIVI ITALIANI

Sono qui di seguito riassunti i principali progressi che si sono avuti negli ultimi anni sulla storia e le caratteristiche eruttive, l´evoluzione magmatica, le caratteristiche strutturali dei vulcani attivi italiani, conoscenze che devono costituire il punto di partenza dei progetti proposti.

 

Vesuvio

Il Vesuvio è senza dubbio il vulcano italiano al quale è associato il rischio più elevato. Pertanto il GNV gli ha dedicato particolare attenzione, facendolo oggetto di un Progetto di ricerca coordinato che è in atto da sei anni. Il Progetto ha portato ad un notevole incremento delle conoscenze sulla struttura, sulla storia eruttiva, sui meccanismi eruttivi, sulla distribuzione dei prodotti eruttati e sui processi magmatici responsabili delle temibili eruzioni plininane e dell´ultimo lungo periodo di attività a condotto aperto (1631-1944). Queste conoscenze hanno consentito alla Protezione Civile la elaborazione di un "Piano di emergenza" basato su una buona definizione della pericolosità nell´area vesuviana e sulla scelta dell´eruzione del 1631 come eruzione "attesa". Le implicazioni dei risultati via via raccolti attraverso le ricerche in atto sul Piano di emergenza vengono valutate da una Commissione ad hoc istituita presso la Prefettura di Napoli.

Nell´ultimo progetto triennale le ricerche sono state concentrate principalmente sui seguenti temi:

- Ricerche finalizzate alla comprensione del comportamento del vulcano nel passato

- Studio del sistema di alimentazione

- Ricerche finalizzate alla comprensione dello stato attuale del vulcano

Le ricerche sul primo tema hanno portato ad una soddisfacente ricostruzione delle principali eruzioni pliniane e subpliniane avvenute negli ultimi 2000 anni (79, 472, 1631), del periodo di attività 1631-1944 e della prima eruzione Pliniana (le "pomici di base" datata a circa 180.000 anni), che è anche quella di maggiore energia e che segna l´inizio della formazione della caldera polifasata del Somma.

Sono stati raccolti i dati di circa 1200 perforazioni superficiali e profonde eseguite al Somma-Vesuvio e nelle piane circostanti, fino ai primi contrafforti appenninici., che hanno permesso di ricostruire con buona attendibilità la distribuzione dei prodotti esplosivi delle diverse eruzioni in tutta la Piana Campana.

Le datazioni radiometriche effettuate sui campioni profondi della perforazione AGIP di Trecase indicano che l´attività nell´area vesuviana è iniziata circa 300.000 anni fa. Inoltre sono state datate tutte le tre eruzioni pliniane avvenute tra le pomici di base e il 79 (rispettivamente a circa 16.800, 8000 e 3600 anni).

Sono stati effettuati studi di modellistica fluidodinamica per simulare processi di messa in posto di eruzioni esplosive. I processi di ricaduta sono stati studiati con modelli numerici basati sulla soluzione di equazioni di avvezione-diffusione che considerano il trasporto delle ceneri vulcaniche da parte del vento, e i processi di diffusione turbolenta atmosferica. I flussi piroclastici sono stati studiati utilizzando le moderne teorie multifase che permettono di tenere conto degli effetti termici, della topografia, delle interazioni meccaniche e termiche tra gas e particelle, e tra particelle di diverse dimensioni.

I principali risultati delle ricerche sui magmi alimentanti il vulcano negli ultimi anni, che costituiscono il secondo tema, sono le evidenze, derivanti soprattutto dagli studi di geochimica isotopica, che le eruzioni pliniane e subpliniane sono innescate dall´arrivo, in serbatoi intracrostali, di nuovi apporti di magma profondo. Lo studio delle eruzioni avvenute a condotto aperto (1906 e 1944) ha mostrato che l´attività esplosiva che caratterizza le loro fasi finali è innescata dall´arrivo, in serbatoi a 2-3 km, di apporti di magma da un serbatoio più profondo a 10-20 km di profondità. Gli studi sulle inclusioni fluide nei minerali delle eruzioni pliniane indicano profondità di formazione tra i 4 e i 10 km.

E´ da evidenziare inoltre che la composizione isotopica dell´He misurata nei gas fumarolici ha valori indistinguibili da quelli misurati sull´He dei minerali estratti dai prodotti eruttati.

Un notevole impegno è stato dedicato allo studio della struttura profonda del vulcano e alla ricerca di serbatoi magmatici di significative dimensioni. Tali studi sono stati effettuati principalmente con metodi sismici, che includono indagini tomografiche 3D ad alta risoluzione e indagini basate su onde riflesse/convertite e rifratte, sia in velocità che in attenuazione. Seppure ancora in fase di elaborazione, i dati raccolti hanno fornito già dei risultati preliminari nella identificazione di una zona a bassa velocità, identificabile con un serbatoio magmatico, a circa 10 km di profondità e nella ricostruzione dettagliata della struttura superficiale (fino a 4 km di profondità). Il modello di velocità 3D potrà essere utilizzato per migliorare le determinazione dei parametri di sorgente dei terremoti vesuviani.

Sono stati elaborati modelli numerici per simulare le deformazioni attese in campo elastico per variazioni di pressione originate da camere magmatiche che si trovino alle profondità su indicate e a profondità minore.

Le indagini geolettriche e magnetotelluriche hanno fornito risultati concordi con quelli su descritti, sia per quanto riguarda la indicazione di un serbatoio magmatico a 8-10 km di profondità, sia sulla struttura superficiale. Esse inoltre hanno consentito di delineare una struttura attribuibile al condotto di alimentazione superficiale.

Sono state effettuate inoltre misure gravimetriche per colmare il vuoto esistente nella parte alta del vulcano. E´ stata effettuata una interpretazione con nuove metodologie del rilievo aeromagnetico esistente, ed e´ stato promosso un nuovo rilievo aeromagnetico dell´intera zona vulcanica napoletana.

La fase di raccolta massiccia di dati geologici, petrologici, geochimici e geofisici sul vulcano può ritenersi in larga parte conclusa. Il prossimo triennio dovrà essere dedicato essenzialmente alla elaborazione, alla costruzione di modelli numerici, alla verifica della loro stabilità e, soprattutto, alla integrazione dei risultati forniti dalle diverse discipline.

Restano tuttavia ancora problemi aperti che meritano una particolare attenzione per la loro rilevanza sul Piano di emergenza, quali:

  • il miglioramento del quadro conoscitivo dell´attività del vulcano nel periodo tra il 79 e il 1631, con approfondimento sia delle dinamiche eruttive e deposizionali, sia sui processi magmatici (con prosecuzione degli studi sulle inclusioni fluide);

  • i precursori dell´eruzione del 1631 e di altre forti eruzioni esplosive (es. 1822 e 1906);

  • la definizione di un modello strutturale 3D di riferimento per la modellistica delle sorgenti sismiche e delle sorgenti di deformazioni del suolo e di anomalia gravimetrica;

  • l´elaborazione di modelli deformativi in campo non elastico.

 

Campi Flegrei

I Campi Flegrei, tra le aree vulcaniche attive più densamente popolate al mondo, sono costituiti da una complessa struttura calderica con collassi multipli e numerosi crateri prevalentementemente monogenetici. L´ultima eruzione risale al 1538, con la formazione del Monte Nuovo, attualmente al centro di un´area abitata. La crisi bradisismica del 1968-1972, con un sollevamento di 1.70 m, seguita da una leggera subsidenza e da una successiva crisi nel periodo 1982-1984 (con un nuovo sollevamento di 1.85 m), ha risvegliato la preoccupazione per una possibile ripresa dell´attività eruttiva , mettendo in luce la necessità di intensificare l´attività di monitoraggio, e le ricerche mirate alla comprensione del funzionamento del sistema .

Le Linee Programmatiche per il triennio 1996-1998 hanno riconosciuto per i Campi Flegrei la necessità di finalizzare le ricerche alla definizione dei seguenti tre punti fondamentali:

i- Struttura e dinamica del sistema;

ii- Scenari e precursori della futura eruzione;

iii- Pericolosità e rischio vulcanico, e redazione di piani di emergenza e di interventi volti alla mitigazione del rischio.

Gli studi geologici, geocronologici e geochimici effettuati nel precedente triennio hanno permesso di definire la stratigrafia, la dinamica della caldera flegrea e l´evoluzione del sistema magmatico dalle eruzioni precedenti l´Ignimbrite Campana (oltre 80 ka), ad oggi. Questi studi, integrati con i risultati delle modellizzazioni dell´evoluzione del sistema geotermico e delle anomalie magnetiche, hanno portato ad ipotizzare un sistema caratterizzato: (1) dalla presenza di due grandi serbatoi indipendenti e sovrapposti in cui differenziarono e probabilmente differenziano tutt´oggi i residui dei magmi dell´Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano; (2) da piccole sacche isolate più superficiali; e (3) da un serbatoio profondo da cui risalgono i magmi meno evoluti. I magmi stazionanti nei serbatoi più profondi possono interagire tra loro e con quelli residenti nelle sacche superficiali durante la loro risalita verso la superficie.

Tra i progetti di geofisica aventi come obiettivo la definizione della struttura della Caldera Flegrea, sono state applicate ai Campi Flegrei metodologie tomografiche elettromagnetiche ad alta risoluzione, in particolare di potenziale spontaneo, magnetica e magnetotellurica. L´attività di ricerca è consistita in un survey areale di potenziale spontaneo (PS) e nell´esecuzione di due sodaggi magnetotellurici (MT), che vanno ad integrarsi ad altri effettuati precedentemente nell´area. Il modello 2-D della caldera suggerisce una struttura elettrica, per la parte più profonda (al di sotto dei 3-4 km), abbastanza resistiva (migliaia di Ohm-m), con una flessione corrispondente alla zona centrale della caldera. Subito al di sopra di questa zona è presente uno strato conduttivo (qualche decina di Ohm-m) in parte anch´esso flesso da quella che appare essere una zona ad alta resistività che si estende fino alla superficie e con un´estensione laterale di 3-4 km.

Nei Campi Flegrei è attiva inoltre dal 1981 una rete gravimetrica di precisione con 18 punti di misura, riferita alla stazione assoluta di Napoli. I dati prodotti sono in accordo con le deformazioni osservate, ed hanno messo in evidenza variazioni di massa alla profondità di circa 3 km. Le indagini hanno permesso di definire la geometria delle caldere prodotte durante le eruzioni dell´Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano L´interpretazione dei processi bradisismici è stata l´oggetto principale delle ricerche di modellistica degli ultimi anni, che ha visto l´alternarsi di diverse ipotesi. La prima ipotesi formulata attribuiva alle sovrappressioni nella camera magmatica possibili deformazioni del suolo, la seconda ipotesi interpreta la deformazione come causata dalle sovrappressioni associate al riscaldamento di fluidi, la terza ipotesi ripropone la sovrappressione in camera magmatica come motore del processo, ma considerando un mezzo elastico con fratture ai bordi della caldera. L´ultimo modello, sembra adattarsi bene ai dati di deformazione, ma pone di nuovo interrogativi sulle reali cause delle crisi bradisismiche.

Nell´ambito della linea 2 sono state anche eseguite ricerche mirate alla modellizzazione termica dei Campi Flegrei in regime di pura conduzione o di conduzione e convezione con modelli bidimensionali e tridimensionali partendo dalla storia geologica, e dalla storia del sistema magmatico degli ultimi 37 ka. Sono stati inoltre eseguiti studi stratigrafici, sedimentologici, mineralogici e geochimici sui prodotti di un numero elevato di eruzioni degli ultimi 12 ka (post Tufo Giallo Napoletano). In particolare sono stati effettuati studi di dettaglio dell´eruzione di Agnano Monte-Spina che rappresenta l´eruzione a più alta magnitudo e intensità degli ultimi 5 ka.

In ragione della sua importanza come evento massimo atteso l´eruzione di Agnano Monte Spina è stata prescelta per studi di modellistica fisica. Sono state effettuate misure di viscosità su campioni di vetro separato ed effettuate alcune simulazioni numeriche di ascesa di magma nel condotto. Le misure sperimentali di viscosità sono state eseguite su campioni idrati sintetici partendo da campioni di vetro separato dalle pomici con contenuti di acqua fino a 3.5 %. I primi risultati mostrano come la viscosità del liquido risulti essere il parametro che maggiormente controlla la dinamica di ascesa del magma.

La modellizzazione dei flussi piroclastici prodotti per collasso della colonna eruttiva utilizzando come parametri di ingresso quelli relativi all´eruzione di Monte Spina sono state utilizzate per valutare l´effetto di contenimento delle barriere topografiche di Posillipo sulla propagazione dei flussi stessi. I risultati di tale studio indicano che l´altezza della barriera risulta insufficiente per certe combinazioni di parametri.

E´ stato effettuato controllo della concentrazione di Mercurio e Radon delle acque di dieci pozzi dell´area flegrea nell´ambito delle attività di monitoraggio discontinuo. I dati ottenuti non hanno evidenziato notevoli variazioni. Sono stati sviluppati modelli chimico isotopici delle manifestazioni termali per condizioni di bassa e alta pressione di CO2; queste simulazioni sono state volte alla definizione della composizione isotopica della CO2 coinvolta nei complessi processi di degassamento, evaporazione ed interazione della roccia. Le misure di radon, temperatura e pH effettuate in pozzi e pozzetti di controllo con periodicità di 7 e 15 giorni permettono di rilevare variazioni periodiche con ampio periodo.

La comparazione dei risultati delle indagini sulla deformazione a lungo termine e di quelle dell´analisi delle deformazioni e della sismicità durante gli eventi bradisismici dimostrano che il regime deformativo instauratosi prima dell´inizio della III epoca di attività (4.8 ka) è quello che ancora controlla la deformazione: pertanto sono state definite due aree a differente probabilità di apertura di bocche eruttive: Quella a più alta probabilità si estende per circa 12 km2 e coincide con il settore nord-orientale della caldera del Tufo Giallo Napoletano. Quella a minore probabilità è situata nel settore centro-orientale e copre un´area di circa 3 km2.

Attualmente, nonostante i numerosi modelli sviluppati, resta ancora aperto il dilemma se il magma si sia o no avvicinato alla superficie. Inoltre, le esperienze legate alle crisi vulcaniche al Rabaul in Nuova Guinea nel 1983, alla caldera del Long Valley in California, e ai Campi Flegrei, che hanno portato a ritenere imminente un´eruzione, mettono in luce le difficoltà di previsione e di gestione di emergenze in aree densamente urbanizzate, e la necessità di sviluppare ulteriori ricerche finalizzate alla comprensione dei processi fisici e chimici del vulcano.

Non è inoltre ancora disponibile un bilancio del flusso di calore dell´area flegrea soprattutto della parte a mare dove sono fin´ora note numerose manifestazioni termali.

Non esiste un bilancio globale del flusso di gas che emana dall´area calderica.

Devono essere inoltre elaborati i dati sismici raccolti nel corso della campagna "Mareves".

 

 

Ischia

L´isola di Ischia è situata nel settore parte nord-occidentale del Golfo di Napoli, con attivi risalente ad oltre 150 ka. L´ultima eruzione risale al 1302, alla fine di una fase di intensa attività durata circa 2000 anni. L´isola è densamente abitata, con una popolazione residente di circa 50.000 abitanti che aumenta notevolmente durante i mesi estivi per lìintenso flusso turistico; è sede di avviate attività agricole e commerciali che rendono elevato il valore esposto al rischio connesso con unìeventuale ripressa dell´attività vulcanica a breve e medio termine. Le ricerche degli ultimi anni hanno riguardato lo studio della storia eruttiva e deformativa, e l´evoluzione del sistema magmatico di alimentazione. La storia vulcanica degli ultimi 55 ka è stata suddivisa in tre periodi di attività caratterizzati da arrivi successivi di magma meno evoluto nel sistema e dalla sua seguente differenziazione. L´ultimo periodo è compreso tra 10 ka B.P. ed è continuato fino all´ultima eruzione. Questo periodo è stato caratterizzato da intensa attività sia esplosiva che effusiva, prevalentemente nel settore orientale dell´Isola, con circa 46 diverse eruzioni nel periodo compreso tra 2.9 ka B. P. ed il 1302 d. C. L´attività sismica nel disastroso terremoto di Casamicciola del 1883. Attualmente l´isola è sede di manifestazioni fumaroliche e idrotermali, attività sismica, e fenomeni franosi che testimoniano la presenza di un sistema magmatico ancora attivo e potenzialmente in grado di alimentare future eruzioni. Dati alcuni aspetti simili delle storie vulcaniche, deformative, e dei meccanismi differenziativi dei magmi di Ischia e dei Campi Flegrei, i programi di Ricerca GNV del triennio precedente raggruppavano le due ricerche.

 

 

Vulcano

I Programmi triennali 1993-95 e 1996-98 si proponevano di far progredire in modo significativo le conoscenze sulla struttura di Vulcano, sui sistemi di alimentazione magmatica e sui processi che vi si svolgono, sul sistema idrotermale e fumarolico e sulle dinamiche eruttive al fine di affinare la valutazione dei fenomeni eruttivi attesi e della loro pericolosità . Inoltre i risultati delle ricerche dovevano essere utilizati per la identificazione, valutazione ed interpretazione dei fenomeni precursori fisici e chimici.

L´analisi dei risultati dell´attività di ricerca condotta in questi anni evidenzia che molti di questi obiettivi sono stati perseguiti: 1) il quadro delle conoscenze sul sistema fumarolico ed idrotermale è più organico; 2) sono stati definiti in modo più preciso i processi petrogenetici ed evolutivi che hanno caratterizzato i magmi di Vulcano; 3) i nuovi studi sulla stratigrafia di La Fossa e la caratterizzazione delle eruzioni più significative hanno portato all´aggiornamento dello scenario eruttivo e a più circostanziate mappe di pericolosità. Viceversa il quadro conoscitivo delle condizioni strutturali del vulcano sia subsuperficiali che profonde non è ancora soddisfacente.

L´azione di coordinamento ha portato, nel Dicembre 1997, alla pubblicazione di un Volume Speciale del GNV su Vulcano a cura di L. La Volpe, P. Dellino, M. Nuccio, E. Privitera e A. Sbrana, che contiene dei documenti di sintesi, relativi ai quattro temi principali (il sistema fumarolico e idrotermale, il funzionamento del sistema magmatico, lo scenario eruttivo e l´eruzione massima attesa, lo stato delle conoscenze sulla struttura di Vulcano) e i contributi scientifici delle diverse U.R. impegnate nel Progetto. In questo volume, al quale si rimanda per un quadro informativo più completo, viene proposto un modello unitario sul funzionamento del sistema vulcanico che tiene conto dei dati della geochimica dei fluidi, della magmatologia e della caratterizzazione del sistema magmatico idrotermale e che è coerente anche con le evidenze che emergono dalla ricostruzione della storia eruttiva e delle principali eruzioni di La Fossa.

Lo studio dei caratteri petrografici geochimici e isotopici dei prodotti di Vulcano suggerisce che l´evoluzione del sistema di alimentazione è stato di tipo RAFC fino a circa 21 ka con progressivo esaurimento dei processi di refilling e progressiva superficializzazione del pumbling system. La Fossa invece è stata alimentata da un sistema magmatico dove i magmi evolvono essenzialmente per AFC a bassa pressione < 1-2 kbar. I magmi basaltico/shoshonitici, che hanno tenori elevati in H2O, Cl e S, evolvono in un primo reservoir più profondo (Pmin = 1 kbar) attraverso processi di FC o debole AFC, tendendo ad una omogeneizzazione geochimica ed isotopica. I magmi differenziati (shoshoniti/latiti e trachiti), aventi tenori più bassi in H2O, Cl e S, stazionano a pressione inferiore (P= 600 bar) e si differenziano ulteriormente, generando rioliti in apofisi della camera.

Per quanto riguarda gli studi sul sistema idrotermale, condotti con metodologie geochimiche e mineralogico-petrografiche sui campioni di roccia dell´area craterica delle Forge, del Faraglione, di Vulcanello e sulle brecce di apertura di alcune eruzioni di La Fossa, è emerso che il complesso eruttivo di Vulcano è caratterizzato dal notevole sviluppo di un sistema idrotermale di tipo "acid sulfate" o "high sulfidation" che si sviluppa prevalentemente in corrispondenza di condotti eruttivi attivi e fossili. Il motore del sistema idrotermale è rappresentato dal sistema magmatico di alimentazione che fornisce energia termica e specie volatili. Nella evoluzione basalti-shoshoniti avviene la perdita di specie volatili, principalmente H2O, CO2, S, HCl, HF. Ulteriore rilascio di volatili avviene nel sistema più superficiale (latiti-rioliti). L´anomalia termica indotta dal sistema magmatico superficiale e i fluidi rilasciati dai magmi che cristallizzano consentono lo sviluppo di sistemi di circolazione idrotermale nei quali sono coinvolti anche fluidi superficiali meteorici e/o marini.

Nella storia eruttiva di La Fossa il sistema idrotermale è stato coinvolto in diverse eruzioni. Per quanto riguarda quelle recenti, nelle successioni di Commenda i fluidi del sistema idrotermale hanno condizionato la dinamica eruttiva, mentre nell´eruzione di Pietre Cotte e del 1888-90 solo le fasi di apertura delle eruzioni. Nella successione di Palizzi il contributo dei fluidi idrotermali alle eruzioni non sembra invece sia stato significativo. E´ da evidenziare che le caratteristiche del sistema idrotermale attualmente presente sotto il cono di La Fossa sembrano del tutto simili a quelle desunte dallo studio del sistema idrotermale fossile pertanto è plausibile ritenere che in una futura eruzione il magma in risalita dovrà necessariamente intercettare questo sistema che avrà una qualche influenza sulle dinamiche eruttive.

L´elaborazione dei dati della sorveglianza geochimica ha consentito di dare informazioni di grosso rilievo sulla genesi dei fluidi fumarolici, suggerendo che la loro origine è essenzialmente riconducibile a processi di miscelazione di due componenti : una magmatica e l´altra idrotermale.

Passando agli studi di tipo geologico-vulcanologico è da ricordare che è stato completato il nuovo rilevamento alla scala 1:10.000 dell´isola di Vulcano, impostato seguendo lo schema delle U.B.S.U. e la carta sarà quanto prima sottoposta alla revisione. Inoltre i nuovi studi stratigrafici hanno portato ad una revisione della storia eruttiva di La Fossa. In questa ricostruzione, utilizzata per lo scenario eruttivo, è stato abbandonato il concetto di ciclicità, in quanto eccessivamente schematico, e sono state distinte 5 Successioni, separate fra loro da discontinuità principali, e al loro interno delle Unità Eruttive (per un numero complessivo di 14). Il periodo di riposo fra le Successioni di La Fossa è variabile, con un intervallo massimo dell´ordine dei 2000 anni, tra la Successione di Punte Nere e la Successione dei T. Varicolori, ed intervalli nettamente inferiori per le Successioni recenti. In questo quadro le eruzioni più ricorrenti sono legate a processi di interazione magma/acqua e i depositi più diffusi sono i surge (wet e dry). Altri depositi meno ricorrenti e con dispersione inferiore sono i depositi da caduta stromboliana, le brecce e le colate di lava. Le eruzioni da surge sono le più ricorrenti, hanno la massima dispersione, nell´ambito delle diverse successioni, e le caratteristiche della loro dinamica eruttiva li fa considerare come gli eventi ai quali è associata la massima pericolosità.

Lo studio delle dinamiche di frammentazione e trasporto dei surge è stato affrontato attraverso indagini sedimentologiche e di laboratorio che hanno evidenziato come nel caso di esplosioni a piccola scala come quelle che hanno caratterizzato La Fossa, l´interazione magma/acqua è sempre avvenuta a livelli molto superficiali e non richiede la presenza di frammentazione primaria del magma perchè la trasformazione da energia termica in meccanica sia efficace. Tutto ciò è stato ipotizzato sulla base delle indagini condotte sui depositi ed è stato verificato in esperimenti di laboratorio fatti all´Università di Wuertzburg nell´ambito di un progetto U.E..

Per quanto riguarda le dinamiche di trasporto nella maggior parte dei casi wet e dry surge hanno avuto una mobilità molto simile e simili sono state le modalità di trasporto delle particelle. Per determinare i parametri che condizionano la mobilità dei flussi da surge è stato costruito un modello sedimentologico. Questi surge sono stati trattati come dei flussi turbolenti stratificati a bassissima concentrazione. Utilizzando i dati che provengono dallo studio tessiturale e strutturale dei depositi dell´Unità di Palizzi è stato possibile ricavare informazioni sulla velocità di shear e calcolare la velocità, la densità e la granulometria dei flussi che li hanno generati in funzione dell´altezza e in zone a diversa distanza dal vent. La distanza massima che questo flusso può percorrere, prima di perdere la maggior parte del carico solido, è in buon accordo con i dati di campagna sulla dispersione massima dei dry surge di Palizzi.

I risultati di questa indagine sono stati utilizzati per meglio dettagliare la zonazione della pericolosità.

Sono state fatte anche delle prime modellizzazioni di un evento esplosivo impulsivo tipo surge utilizzando un modello fisico numerico bifase e bicomponente in fase gassosa. I risultati delle simulazioni indicano che la dispersione dei surge sembra essenzialmente legata alla magnitudo e all´energia dell´evento esplosivo mentre la geometria del sistema o la granulometria dei prodotti, sembrano essere meno influenti.

Lo scorso anno sono iniziate anche in un laboratorio italiano delle indagini sperimentali per lo studio dei processi di vescicolazione, frammentazione ed interazione magma-acqua in condizioni controllate di P, T, X (H2O) e P(H2O). Ad oggi e´ stata curata essenzialmente la messa a punto e la calibrazione del sistema e sono stati condotti i primi esperimenti su fusi basici in condizioni variabili di rapporto fuso/H2O e delle variabili intensive.

La conoscenza cronologica degli eventi verificatisi nella storia eruttiva di La Fossa non è adeguata ad affrontare un discorso di tipo probabilistico; ciò dipende in larga misura da difficoltà intrinseche, giacchè la mancanza di paleosuoli limita i metodi di determinazione a misure sulle rocce con il metodo K/Ar e a determinazioni con il metodo Ra-226/Th-230.

Infine sono in via di completamento gli studi di fabric magnetico e di anisotropia della suscettività magnetica per l´identificazione di elementi strutturali, tilting locali e movimenti vulcano-tettonici e per le correlazioni magnetostratigrafiche e cronologiche fra alcune unità vulcano-stratigrafiche.

Viceversa la conoscenza delle condizioni strutturali del vulcano sia subsuperficiali che profonde non è ancora soddisfacente.

Gli studi di sismologia si sono soffermati sulle caratteristiche spaziali della distribuzione ipocentrale dei terremoti di Vulcano. Negli ultimi 5 anni la sismicità al di sotto di La Fossa non supera la profondità di 2km, si approfondisce sino a 4 km nelle zone limitofe per poi interessare volumi sempre più ampi, man mano che si procede verso zone più periferiche. I ridotti volumi di crosta interessata dai fenomeni sismici potrebbero essere spiegati attraverso una precoce transizione da condizioni di fratturazione fragile a condizioni di flusso plastico.

Le indagini di geologia marina hanno portato alla definizione dell´assetto morfostrutturale della parte sommersa dell´isola e dovrebbe essere in corso di completamento la stesura della carta alla scala 1:25000.

Un contributo alla definizione delle caratteristiche geostrutturali dell´isola di Vulcano sta emergendo dalle indagini di potenziale spontaneo (PS) e geoelettrica (GE). E´ stata evidenziata una certa variabilità temporale delle anomalie di PS che viene interpretata come variabilità nelle condizione di circolazione dei fluidi nel sottosuolo. Le tomografie di geoelettrica DD mostrano un´aumento della resistività con la profondità In particolare, nella parte settentrionale dell´isola, fino ad una profondità di circa 1 km dal l.m.m., sembra sia presente un blocco caratterizzato da bassi valori di resistività , probabilmente dovuti all´ingressione di acqua marina, e al di sotto del cratere La Fossa, si osserva la presenza, a circa 1 km di profondità, di nuclei resistivi in contesti mediamente più conduttivi. Questo quadro potrà essere migliorato dagli approfondimenti in corso e potrà essere integrato dalla reinterpretazione dei dati gravimetrici, già acquisiti, e con l´ausilio di nuovi dati gravimetrici, magnetici, magnetotellurici e geolettrici profondi programmati per il prossimo anno.

E´ stato eseguito anche il rilievo magnetico ad alta risoluzione dell´Isola con 12500 punti di stazione e dovrebbe essere terminata anche l´elaborazione dei dati.

Le indagini gravimetriche di precisione condotte a Vulcano evidenziano un quadro variometrico a carattere locale attribuibile, per la maggior parte a migrazione in livelli superficiali, di fluidi (sia del sistema geotermico che del sistema idrologico).

I risultati di queste ricerche non potranno però dare indicazioni sulla posizione e dimensioni della /delle camere magmatiche con i caratteri di precisione necessari a definire lo stato attuale del vulcano.

Sono stati realizzati modelli digitali su rilievi a scala 1:5000 con ausilio di GPS cinematico. La disponibilità della posizione istantanea della camera di presa consente la riduzione, fino alla totale esclusione, dei punti a terra, senza perdita in precisione. Il confronto di due DTM derivati da fotogrammi relativi ai voli del 1993 e del 1996 sull´area test prescelta (300x600 m) ha evidenziato che la distribuzione areale dell´R.M.S. delle differenze varia da 5 a 20 cm, con una forte dipendenza dalla morfologia del terreno. Gli studi programmati per il prossimo anno dovranno consentire di valutare la possibilità di applicare questo metodo al monitoraggio delle deformazioni.

La prima cosa da segnalare è che non è stato ancora affrontato uno studio di tomografia sismica attiva finalizzato alla definizione della struttura dell´edificio e del suo substrato, nonchè alla ricerca della posizione e delle dimensioni di eventuali camere magmatiche. Da questo studio dovrà venire anche un affinamento del modello di velocità del sottosuolo di La Fossa utile ai fini della sorveglianza sismica. L´impostazione tecnica del progetto dovrà tenere conto dei risultati degli esperimenti di tomografia sismica che sono stati condotti nel 1997.

Ci sono altri approfondimenti che potrebbero essere programmati per meglio circostanziare le ipotesi formulate e riassunte nel capitolo precedente. Si ritiene però che questi studi debbano fare parte di proposte individuali, possibilmente nell´ambito di progetti di ricerca tematici. Ciò potrebbe consentire approcci più mirati e inseriti in problematiche più ampie e una maggiore interazione fra competenze diverse o che fino ad ora si sono sviluppate in contesti vulcanici diversi.

La riproposizione di un programma coordinato su Vulcano potrebbe non cogliere elementi di novità e non garantire significativi miglioramenti del quadro conoscitivo.

Per quanto riguarda il sistema magmatico di alimentazione potrebbe essere ulteriormente testato il modello generale di funzionamento proposto attraverso lo studio di dettaglio di altre eruzioni. Queste indagini dovrebbero essere accompagnate dallo studio delle specie volatili presenti nelle inclusioni silicatiche.

Per quanto riguarda i processi di degassamento dei magmi si dovrebbe cercare di definire in modo quantitativo le specie volatili rilasciate sia dal sistema latitico-riolitico che da quello basaltico-shoshonitico. Una strada da percorrere è attraverso lo studio delle inclusioni silicatiche e fluide i cui primi risultati aprono interessanti prospettive; queste indagini dovrebbero riguardare anche e sopratutto la componente juvenile delle eruzioni esplosive di La Fossa.

E´ auspicabile che proseguano anche le indagini sulla natura dei processi di frammentazione e sulla caratterizzazione dei meccanismi deposizionali prendendo in considerazione anche tipologie eruttive che, data la loro minore pericolosità non hanno ricevuto fino ad oggi sufficiente attenzione. Un esempio è l´eruzione 1888-90, di riferimento per le "eruzioni vulcaniane". Inoltre si dovrebbe cercare di mettere in relazione i caratteri della frammentazione con il tenore pre-eruttivo in volatili dei magmi; per le eruzioni idromagmatiche inoltre si dovrebbe riuscire a definire la natura dei fluidi con i quali il magma è venuto a contatto e approfondire il ruolo dell´interazione magma/sistema geotermico. Un contributo potrebbe venire anche da approcci di tipo sperimentale.

Dovrebbero proseguire gli studi sulla simulazione delle eruzioni da surge, introducendo nei modelli i parametri di concentrazione di particelle, distribuzioni granulometriche, caratteri del moto desunti dagli studi sedimentologici.

Infine di interesse per le problematiche di Protezione Civile è anche la valutazione dell´impatto che provoca il rilascio di metalli ed elementi potenzialmente dannosi per la salute umana da parte del sistema magmatico-idrotermale di La Fossa.

 

 

Stromboli

Stromboli, la più settentrionale delle isole Eolie, è nota per la persistenza della sua attività vulcanica che continua senza interruzioni dall´epoca classica. L´isola ospita una popolazione di circa 400 residenti distribuiti nei due centri abitati di Stromboli (370) e Ginostra (30). Nel periodo luglio-agosto il numero delle presenze sale a 7000-8000 persone. Una parte significativa di queste è rappresentato da persone che visitano l´isola il tempo necessario a salire fino alla cima per godere lo spettacolo dei crateri in attività esplosiva.

Sebbene il vulcano non abbia prodotto negli ultimi 3 secoli grandi danni e solo occasionalmente abbia causato perdite di vite umane, lo Stromboli è capace di produrre in maniera improvvisa fenomenologie pericolose sia per le persone che si trovino nelle parti alte della montagna che alle popolazioni dei centri abitati. In aggiunta ai fenomeni strettamente eruttivi una ulteriore fonte di pericolo può essere causata da eventuali fenomeni di scivolamento di versante della Sciara del Fuoco.

Le ricerche geologico-strutturali relative agli ultimi 13.000 anni di evoluzione del vulcano (NeoStromboli), hanno mostrato come l´attività vulcanica sia stata dominata dalla effusione di colate di lava e dalla conseguente tendenza ad accrescere la parte subaerea del cono (attività costruttiva). Durante questo arco di tempo il vulcano sembra aver subito almeno tre collassi di versante. Al fine di camprendere le cause di tali dissesti sono stati intrapresi studi strutturali sulla distribuzione e lo spessore dei dicchi, ed è stata effettuata una analisi delle lineazioni e della cinematica delle faglie. Uno dei collassi è inoltre stato messo in relazione ad un grande evento esplosivo i cui prodotti hanno ricoperto l´intera isola e la cui dinamica è interpretabile come prodotto dalla improvvisa depressurizzazione del sistema magmatico e geotermico. L´insieme degli studi eseguiti ha contribuito significativamente a mettere in evidenza l´importanza dei processi di instabilità gravitativa e le relative implicazioni di pericolosità nella storia recente del vulcano.

Nel corso degli ultimi anni l´attività eruttiva dello Stromboli è stata oggetto di indagini vulcanologiche, geofisiche e petrologiche. Gli studi condotti hanno contribuito in maniera significativa a migliorare la comprensione dei processi eruttivi ordinari dal punto di vista della dinamica esterna e interna ai condotti nonchè dal punto di vista della petrologia dei prodotto emessi..

Le esplosioni maggiori, particolarmente importanti dal punto di vista della loro implicazione di pericolosità, e una volta ritenute eventi dovuti ad a cause imponderabili, si stanno rivelando eventi esplosivi innescati dalla improvvisa risalita di un magma ricco in gas e povero di cristalli con caratteristiche assai diverse da quello emesso dalle esplosioni ordinarie. Il loro studio pare assai promettente nel rivelare importanti novità sul meccanismo di funzionamento del sistema in condizioni stazionarie. Le indagini tefrostratigrafiche condotte mediante lo scavo di trincee e la datazione di resti carboniosi hanno rivelato che l´attività stromboliana che noi oggi conosciamo, è iniziata circa 1600 anni fa. Inoltre, l´insediamento della attività stromboliana ordinaria ha di fatto coinciso con la comparsa delle eslosioni maggiori ovvero con l´emissione di magma ricco in gas e tendenzialmente povero di cristalli (pomici bionde).

I risultati sull´origine dell´attività sismica e del tremore sono stati riassunti nel capitolo sulla sorveglianza.

I prodotti eruttati durante la normale attività stromboliana sono basalti shoshonitici, porfirici, a cristalli di plagioclasio, cliopirosseno ed olivina che costituiscono più del 50 wt% della roccia. Durante le eruzioni esplosive più energetiche oltre alle bombe scoriacee, vengono talora eruttate anche delle bombe pomicee molto vescicolate e a bassa cristallinità (max. 5wt %). In numerosi frammenti le porzioni scoriacee e pomicee appaiono intimamente mescolate.

Il materiale pomiceo poco porfirico eruttato durante le eruzioni più violente mostra una composizione della roccia totale leggermente più primitiva rispetto alla composizione delle lave e scorie porfiriche.

Le differenze composizionali fra i minerali dei due tipi di magmi suggeriscono pressioni e temperature di cristallizzazione più alte, dell´ordine di 70-1008 C, per il magma più mafico.

Le variazioni dei rapporti isotopici dello Sr danno informazioni estremamente utili ai fini dell´individuazione di nuovi arrivi di magma nel serbatoio superficiale di Stromboli. Negli ultimi 5000 anni, i rapporti isotopici dello Sr hanno subito una consistente diminuzione, a partire dalle rocce potassiche del Neostromboli fino alle scorie eruttate negli ultimi anni. In particolare, focalizzando l´attenzione sugli ultimi 90 anni (dal 1906 al 1996) si nota che i rapporti isotopici dello Sr di lave e scorie eruttate dalla normale attività stromboliana, rimangono costanti fino ad un periodo intorno al 1980 per poi diminuire progressivamente fino al 1996.

Le differenze composizionali fra i due tipi di magma sono da mettere in relazione con la dinamica della differenziazione all´interno di un serbatoio magmatico superficiale, fortemente zonato sotto il punto di vista composizionale e termico e soggetto ad un regime stazionario sotto il punto di vista dell´alimentazione e dei prodotti eruttati. In questa ipotesi i prodotti scoriacei fortemente porfirici rappresenterebbero la zona più superficiale della colonna magmatica, più fredda, povera in gas fortemente cristallizzata e pertanto più viscosa, mentre le bombe pomicee rappresenterebbero la porzione inferiore più calda, fluida e ricca in gas dello stesso serbatoio.

Indagini petrologiche e geochimiche sono state condotte su una grande quantità (circa 300) di inclusi di rocce magmatiche e metamorfiche raccolti da diverse formazioni di Stromboli. Lo studio degli inclusi sta fornendo importanti infortmazioni sulla struttura profonda del vulcano, sulle rocce che formano il suo substrato e sulla relativa caratterizzazione geochimica. Sono state in particolare indagate le rocce di composizione gabbroide provenienti dalla formazione della Petrazza e le rocce contenenti liquidi di composizione riolitica e con facies mineralogiche termometamorfiche di alto grado. Sugli inclusi prelevati dalla formazione delle Secche di Lazzaro sono state eseguite indagini mineralogico petrologiche che hanno permesso di evidenziare il ruolo della cristallizzazione intratellurica durante le fasi di recente evoluzione del vulcano (Neostromboli).

I dati storici e stratigrafici documentano che il sistema Stromboli si trova nell´attuale condizione da poco meno di duemila anni. Tale comportamento è eccezionalmente stabile e non risulta perturbato nè da periodiche effusioni laviche nè da eventi esplosivi parossistici. Gli elementi di maggiore spicco del sistema sono:

il bilancio tra prodotti emessi e contenuto preeruttivo di gas nel magma sembra indicare un forte eccesso di gas emesso attualmente spiegabile solo attraverso una forte attività intrusiva ovvero di cristallizzazione intratellurica del magma;

i dati vulcanologici, di bilancio termico e geofisici indicano l´esistenza sotto la terrazza craterica di un sistema magmatico verticalmente esteso ove si trova immagazzinata una quantità di magma sufficiente a "tamponare" il calore perso e impedire il congelamento del sistema. Entro tale volume di magma si verificano fenomeni di essoluzione di gas, formazione, coalescenza e risalita di bolle la cui esplosione alimenta l´attività stromboliana ordinaria. L´essoluzione del gas induce induce massici fenomeni di cristallizzazione del magma. La perdita del gas e cla ristallizzazione risultano verosimilmente in un sostanziale incremento della viscosita´ del magma residente nella parte superficiale del sistema magmatico. Non esistono ad oggi dati geofisici che permettano di definire, al di sotto delle prime centinaia di metri, la geometria del sistema magmatico.

I periodici trabocchi d lava che si verificano circa ogni 10 anni, possono rappresentare arrivi di nuovo magma dal profondo con conseguente tracimazione di una parte di quello residente.

Per ragioni non ancora chiarite il sistema magmatico dello Stromboli è periodicamente perturbato (alcune volte anno) dalla risalita di piccole masse di magma ricco in gas e povero di cristalli. la risalita di tali masse è catastrofica ed alimenta fenomeni eslosivi violenti (esplosioni maggiori e parossismi magmatici). Occasionalmente i fenomeni esplosivi possono coinvolgere il sistema di fluidi in pressione che si trova costantemente intorno ai condotti. Tali eslplosioni lanciano soprattutto materiale vecchio emettendo inoltre grandi quantità di cenere e vapore acqueo.

Nonostante le recenti indagini abbiano portato ad un sostanziale miglioramento delle conoscenze sui processi eruttivi e di instabilita´ gravitazionale del vulcano, allo stato attuale tali problematiche sono da considerarsi individuate ma lontano dall´essere adeguatamente approfondite. Per quanto riguarda le frane molto resta da fare nel campo della documentazione dei diversi eventi, della loro datazione, dello studio degli eventuali fenomeni eruttivi ad essi collegati e dell´eventuale ricoscimento di depositi di tsunami. Gli studi geologici della parte subaerea devono orientarsi a fornire una solida documentazione delle diverse nicchie di distacco e possibilmente stabilire i vincoli cronologici dell´accaddimento dei diversi eventi. Per quanto riguarda i depositi a mare è imprescindibile effettuare ricerche di geologia marina tese al riconoscimento e alla mappatura dei corpi di frana nonchè alla datazione degli eventi con tecniche di datazione dei sedimenti che imballano i depositi di frana.

Un importante corollario di pericolosità associato alla problematica delle frane è la modellazione dell´evento di tsunami innescato dalla frana. In questo campo è necessario implementare i modelli esistenti rendendoli idonei a riprodurre anche la propagazione dell´onda in vicinanza della costa. A questo proposito è urgente pervenire all´acquisizione di una buona batimetria delle fasce costire. Poichè la modellazione dello tsunami "possibile" dipende dalla massa della frana sono anche auspicabili ricerche che portino a stabilire quale è attualmente la massa potenzialmente franabile.

Nel campo della previsione dei fenomeni eruttivi pericolosi risulta di basilare importanza comprendere le ragioni che portano alla improvvisa risalita di piccole masse di magma ricco in gas capaci di produrre violente esplosioni e fontane di fuoco che a loro volta possono innescare esplosioni prodotte da sacche di gas poste al di fuori del sistema dei condotti. Tale obiettivo deve essere conseguito sia attraverso lo studio dei prodotti delle esplosioni maggiori sia attraverso il miglioramento dell´azione di monitoraggio geofisico, visivo (telecamera), petrologico e geochimico.

Tale azione di monitoraggio oltre a contribuire a comprendere il meccanismo stesso delle esplosioni maggiori dovrebbe essere altres" finalizzato a cogliere eventuali fenomeni precursori.

 

 

Etna

L´attività vulcanica dell´Etna costituisce una rilevante minaccia alla città di Catania e ai numerosi centri abitati che sparsi sulle sue falde. Le fonti di pericolo derivano da possibili anche se poco probabili eruzioni esplosive, da fenomeni di instabilita´ gravitativa ma soprattutto da colate di lava. La pericolosita´ delle colate di lava dipende in larga misura dalla posizione della bocca eruttiva essendo ben stabilito che l´apertura di bocche a bassa quota comporta un sostanziale inasprimento dei fenomeni eruttivi delle potenzialita´ distruttive.

Le ricerche promosse dal GNV nel corso dei precedenti piani triennali sono state indirizzate a migliorare: i) le conoscenze di base sul del sistema vulcanico, ii) la capacita´ previsionale dei fenomeni eruttivi tramite l´implementazione di mappe di pericolosita´ e la messa in opera di una rete strumentale di monitoraggio e iii) la capacita´ previsionale dei fenomeni eruttivi in atto mediante modellazione delle colate di lava.

Per una migliore comprensione della struttura vulcanica si è cercato di definire meglio i rapporti tra la tettonica regionale e quella gravitativa prodotta dal peso della struttura vulcanica. Le indagini paleosismologiche sul sistema di faglie delle Timpe tramite lo scavo di trincee e la datazione radiometrica degli strati, hanno evidenziato rigetti verticali cumulativi fino a 5.5 m e tassi di scorrimento durante l´Olocene di alcuni mm/anno. Ricerche geologico-strutturali hanno inoltre mostrato che le faglie delle Timpe hanno radici profonde, e quindi non gravitativa, essendo esse state ripetutamente utilizzate per la risalita di magmi. Analoghi studi compiuti lungo la faglia Pernicana hanno mostrato che lo scorrimento della faglia sia caratterizzato da movimenti orizzontali puri con tassi di movimento di 2-3 cm annui. L´analisi cinematica del rift di Est-Nord Est e´ stata effettuata mediante rilevamento a scala 1:10.000 e utilizzo di numerosi livelli per tefrocorrelazione, ha permesso di stabilire che la struttura ha caratteristiche di un vero rift tettonico la cui porzione assiale e´ occupata dalle unita´ più recenti. Alcune delle fratture sono state inoltre riattiviate più volte. Il quadro delle indagini tettoniche del versante orientale dell´Etna e´ completato da nuovi dati sui terrazzi marini che, con l´ausilio di datazioni radiometriche e dell´andamento delle curve eustatiche hanno permesso di individuare, nei pressi di Acitrezza, sei ordini di terrazzi che complessivamente mettono in evidenza un tasso di sollevamento medio 1.4 mm/anno.

Gli studi tefrostratigrafici e geocronologici hanno permesso l´identificazione di sei grandi eventi esplosivi di età compresa tra 80ka e il 122 a.C. Sono stati in particolare identificati due depositi di pomici di caduta temporalmente vicini aventi rispettivamente un´età di 15.400 e 15.000 anni fa che avrebbero portato allo sprofondamento della caldera dell´Ellittico. L´eruzione esplosiva studiata con maggior dettaglio è stata quella del 122 a.C. avente composizione basaltica e dinamica pliniana. L´eruzione ha portato alla deposizione di 0.4 km3 di depositi di caduta, con una colonna eruttiva alta 24-26 km e un flusso di massa di 8.5x107 kg/sec.

Il monitoraggio isotopico (Sr eNd) dei prodotti eruttivi nel periodo 1989-1996 ha mostrato una certa variabilita´ di valori anche all´interno della stessa eruzione suggerendo la mancanza di consistenti accumuli di magma a bassa profondita´. Considerando anche i dati di letteratura sembra che l´attività eruttiva dell´Etna sia stata alimentata da una massa magmatica isotopicamente omogenea fino al 1971. A partire dal 1974 il vulcano e´ stato alimentato da prodotti a più alta composizione isotopica dello Sr e a più bassa rapporto isotopico del Nd, comunque il magma precedente sembra tuttora presente nel sistema di alimentazione come suggerito dalla presenza di fenocristalli con impronta isotopica pre-1971.

Nell´ottica di una migliore comprensione della dinamica delle eruzioni laterali e della associata pericolosita´ e´ stata effettuata una ricostruzione su base storica e uno studio petrologico della grande eruzione effusiva del 1669 formulando un modello sulla base delle variazioni composizionali osservate all´interno della colata.

Le indagini geochimiche e iotopiche sui prodotti hanno messo in evidenza estesi fenomeni di disequilibrio sia all´interno della stessa colata che tra diverse colate. Il riconoscimento di tali disomogeneita´ sottolinea l´esistenza di processi non lineari che controllano i processi magmatici che devono essere adeguatamente approfonditi e compresi.

Nel campo della mappatura della pericolosita´ e della gestione delle emergenze un notevole contributo e´ venuto dalla modellistica delle colate laviche ad evento iniziato e dalla possibilita´ di confrontare i risultati con la reale propagazione della colata lavica. Ricerche sono state anche eseguite sulla struttura e distribuzione della vescicolazione delle lave al fine di individuare i vincoli al processo di messa in posto delle lave.

Dal punto di vista delle implicazioni di pericolosità è stato messo in evidenza un incremento di eruzioni esplosive negli ultimi 4ka rispetto agli 8ka precedenti. Tale variazione sembra correlare con l´eruzione di magmi picritici.

Le misure di flusso gassoso dai crateri, il più grande al mondo tra quelli subaerei, hanno consentito di comprendere meglio i i processi responsabili del tremore sismico e anche di valutare la quantità di magma che sta degassando.

Dal punto di vista della Protezione Civile risulta fondamentale risolvere il problema della definizione dello scenario eruttivo (identificazione delle zone di massima probabilità di apertura di bocche eruttive, stima della durata dell´eruzione e capacita´ di prevedere il percorso della colata). Tale problema necessita di essere affrontato mettendo insieme linee di ricerca integrate multidisciplinari. E´ inoltre basilare per la Protezione Civile poter integrare la modellistica delle colate laviche con sistemi automatici di gestione del territorio al fine di prendere nei tempi opportuni decisioni di intervento.

 

 

Pantelleria

L´attività vulcanica di Pantelleria, iniziata circa 300.000 anni fa, è stata caratterizzata da due collassi calderici. La caldera più antica si è formata 114.000 anni fa, mentre quella più giovane ha un´età di circa 50.000 anni. L´attività più recente è consistita in numerose eruzioni da bocche diverse. Le eruzioni subaeree più antiche hanno un´età tra 5 e 10.000 anni. L´ultima eruzione è avvenuta nel 1891, 4 km a NNW dell´isola.

Negli ultimi anni, oltre a studi geologici e sull´evoluzione magmatica, è stato effettuato un rilievo gravimetrico di dettaglio.

Sono state inoltre effettuate indagini sulla geochimica delle acque e dei gas. I risultati chimici ed isotopici evidenziano un degassamento mantellico attraverso l´acquifero superficiale, che suggerisce la presenza di una sorgente magmatica attiva. La componente mantellica identificata nei fluidi di Pantelleria è la più primitiva, per quanto riguarda i rapporti isotopici del carbonio e dell´elio, finora identificata nei vulcani del Mediterraneo. Questi dati possono fornire la base per la valutazione della potenzialità eruttiva del vulcano.

 


4. IL PROGRAMMA QUADRO 1999-2001

 

4.1 CRITERI GENERALI

Il Programma Triennale 1999-2001 si prefigge gli stessi obiettivi del progetto precedente, riportati nella prima pagina. Tuttavia differisce dai precedenti nella impostazione e nell´articolazione delle tematiche.

L´intensa attività di ricerca svolta sui vulcani italiani ha consentito la raccolta di una notevole quantità di dati raccolti con metodologie differenti. Tali dati tuttavia non hanno portato ancora alla elaborazione di modelli quantitativi integrati multidisciplinari. Nel prossimo triennio va pertanto incoraggiata l´elaborazione e l´interpretazione dei dati esistenti e la loro integrazione in modelli multidisciplinari.

Un progresso significativo nel livello di conoscenza raggiunto, per quanto riguarda sia la sorveglianza sia l´attività e la struttura dei singoli vulcani, può avvenire solo attraverso programmi di ricerca che abbiano le seguenti caratteristiche:

  • perseguano il miglioramento delle metodologie impiegate a risolvere problemi di interesse vulcanologico e/o lo sviluppo di metodologie innovative;

  • consentano la integrazione di dati geologici, geofisici, geochimici, petrologici attraverso una ragionata programmazione della ricerca;

  • mirino alla quantificazione di parametri, alla valutazione della loro attendibilità, alla elaborazione di modelli numerici ed alla verifica della loro risoluzione e attendibilità.

Pertanto, si è deciso di strutturare il Programma in "Linee di ricerca" tematiche, nelle quali devono confluire le ricerche miranti a risolvere problemi ancora aperti relativi a ciascun vulcano, e di rilevanza per gli obiettivi del Programma. Su tali Linee dovranno operare gruppi di ricercatori, tra di loro coordinati, con progetti che rispondano nel modo più ampio alle richieste formulate nel Programma Quadro. Si spera in tal modo di stimolare la comunità vulcanologica ad organizzarsi in pochi grossi progetti, non necessariamente rivolti allo studio di un singolo vulcano. Tali progetti sono aperti all´apporto di ricercatori europei, soprattutto in settori poco sviluppati in Italia, e possono contenere iniziative per la formazione di giovani ricercatori attraverso la mobilità. Gli aspetti che comportano l´utilizzazione di tecnologie innovative e impegno economico rilevante devono prevedere una fase di accertamento della fattibilità da realizzare nel primo anno.

Si ritiene opportuno conservare un unico progetto focalizzato su un vulcano, cioè quello relativo ai Campi Flegrei, in quanto il progetto relativo è iniziato solo da tre anni e richiede ancora un significativo sforzo interdisciplinare per chiarire i molti problemi ancora aperti di dinamica e struttura (genesi del bradisisma, ubicazione e dimensioni della camera magmatica, scenari eruttivi attesi).

Si propongono quindi le seguenti linee di ricerca:

 

1.SVILUPPO DI METODOLOGIE DI SORVEGLIANZA
2. SCENARI ERUTTIVI E VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA´
3. DEFINIZIONE DEL RISCHIO, LIVELLI DI ALLERTA E GESTIONE DEL TERRITORIO
4. SVILUPPO E APPLICAZIONE DI METODI DI TELERILEVAMENTO
5. METODI INNOVATIVI ED INTEGRATI PER LO STUDIO DELLA STRUTTURA DEI VULCANI
6. INDAGINI SULLE PARTI SOMMERSE DEI VULCANI ATTIVI ITALIANI
7. CAMPI FLEGREI
 

 

4.2 DESCRIZIONE DELLE LINEE DI RICERCA

 

4.2.1 SVILUPPO DI METODOLOGIE DI SORVEGLIANZA

 

4.2.1.1 Sorveglianza permanente

La sorveglianza permanente (24 ore su 24) dei vulcani potenzialmente più pericolosi (Campi Flegrei, Vesuvio, Stromboli, Etna, Vulcano, Ischia) sarà garantita dagli enti istituzionalmente delegati a questo compito, cioè l´Osservatorio Vesuviano per i vulcani napoletani e il Sistema Poseidon per i vulcani siciliani. Gli stessi enti gestiranno l´esecuzione di periodiche campagne di misura di parametri che non sono ancora controllati con sistemi in continuo. I sistemi di sorveglianza attualmente predisposti sui vulcani sono stati soddisfacentemente collaudati nei progetti precedenti, consentendo di rilevare tempestivamente l´insorgere di anomalie nelle attività sismica o nelle deformazioni del suolo. Ciò ha sempre consentito al GNV di segnalare tempestivamente al Dipartimento di Protezione Civile situazioni di potenziale pericolo e di potenziare in tempi rapidi il sistema di sorveglianza.

Sui vulcani in eruzione o in attività fumarolica importante (Etna, Vulcano, Stromboli) continuerà ad essere assicurata una sorveglianza dell´attività e dei suoi prodotti mediante telecamere fisse, sorvoli e frequenti visite ai crateri.

L´efficacia della sorveglianza va comunque migliorata, secondo le linee programmatiche indicate nel punto successivo, sia per stare al passo con l´aggiornamento delle tecnologie hardware e software, sia per ottimizzare la definizione dei parametri stessi.

Un obiettivo non ancora conseguito, la cui importanza è stata più volte segnalata nei progetti precedenti, è la costituzione di una banca dati dinamica di sorveglianza dei vulcani, che consenta una immediata interazione tra le diverse strutture incaricate della sorveglianza vulcanica. I progetti presentati dovranno rispondere a questa domanda, indicando modalità e tempi di realizzazione di banche dati interne alle istituzioni stesse e avanzando proposte per la loro integrazione in una banca dati comune.

 

 

4.2.1.2 Miglioramento di reti e metodi di sorveglianza.

Le reti esistenti vanno continuamente migliorate ed ottimizzate utilizzando nel modo più opportuno sia i progressi tecnologici che quelli delle conoscenze sulla strattura e sulla dinamica di ciascun vulcano.

a) Reti sismiche

Le reti sismiche per il monitoraggio dei vulcani italiani sono attualmente composte in larga misura da stazioni a breve periodo a componenti verticali con sistemi di acquisizione che spesso non consentono una facile archiviazione e diffusione dei dati registrati. Inoltre le stazioni sono unicamente ubicate in terra con conseguenti importanti limitazioni nella determinazione dei parametri di sorgente. I Campi Flegrei, Vulcano e il Vesuvio risentono in modo particolare della disomogeneità azimutale nella distribuzione dei sensori. Sui vulcani siciliani, oltre alla rete sismica dell´IIV è presente quella del Poseidon costituita da 48 stazioni analogiche, tre delle quali sono a 3 componenti.

Sismometri a larga banda sono installati all´Etna e a Stromboli e sono in via di installazione nell´area napoletana.

E´ quindi necessario prevedere di:

A) portare il numero di stazioni su ciascun vulcano ad un valore ottimale compatibile con le dimensioni del vulcano stesso, la profondità delle sorgenti sismiche e il modello di alimentazione, tenendo presente che per ottenere un´attendibilità compatibile con gli standard scientifici attuali nella determinazione dei parametri di sorgente è necessario avere diverse decine di stazioni per vulcano.

B) aumentare il numero delle terne di sensori. La soluzione ottimale sarebbe quella di avere tutti sensori a tre componenti. Una soluzione minima è quella che almeno la metà delle stazioni sismiche sia dotata di terne di sensori.

C) installare un minimo di cinque sensori a larga banda (che arrivino almeno a 300 sec) per ciascun vulcano. La scelta della dinamica più adeguata di tali sensori è legata alle caratteristiche della sismicità e del rumore di fondo di origine antropica.

D) migliorare i sistemi di registrazione e di trasmissione dei dati, e prevedere l´archiviazione delle forme d´onda digitali. Tutti i segnali devono essere digitalizzati e memorizzati in formati noti ed accettati a livello internazionale nelle procedure di scambio dati (formato SAC; SUDS, etc..). Gli acquisitori digitali devono avere una dinamica sufficiente per consentire l´analisi delle forme d´onda registrate da sensori a larga banda.

E) prevedere la installazione di sismometri sottomarini (OBS) per completare la copertura azimutale, almeno ai Campi Flegrei e al Vesuvio.

F) elaborare programmi 3D di localizzazione dei terremoti che tengano conto dei recenti progressi sulla conoscenza delle strutture crostali sotto alcuni vulcani, quali il Vesuvio e l´Etna.

G) Un particolare riguardo merita la sorveglianza sismica dell´Etna. Attualmente la sorveglianza sismica del vulcano è garantita dalle stazioni IIV, che recentemente sono state affiancate dalle circa 48 stazioni del progetto Poseidon. Queste ultime sono a corto periodo e in maggior parte a componente verticale. E´ necessario verificare l´operatività della reta attuale e la qualità dei segnali forniti. E´ necessario aumentare il numero dei sismografi a tre componenti e migliorare i sistemi di acquisizione in modo da garantire sia la sorveglianza che la possibilità di determinare i parametri di sorgente con standards scientifici qualitativamente elevati.

b) Sorveglianza geodetica e gravimetrica.

La sorveglianza geodetica delle aree vulcaniche è stata impostata nel passato in larga parte su campagne di misure di vario tipo (livellazioni, EDM, GPS, gravimetria) su reti con caratteristiche diverse in termini di dimensioni e densità dei punti a seconda dell´area di indagine; le misure sono ripetute periodicamente, con maggiore frequenza qualora vengano evidenziati dei fenomeni deformativi di interesse. Attualmente le misure topografiche terrestri, a causa della loro complessità, il loro alto costo e i lunghi tempi di esecuzione, sono in parte sostituite da rilievi che fanno uso estensivo della metodologia GPS utilizzato sia in maniera statica che cinematica. Ciò porta a notevoli vantaggi in termini di celerità delle misure e precisione per quanto riguarda il controllo delle deformazioni orizzontali; diversa è la situazione per il monitoraggio dei movimenti verticali, per i quali la livellazione geometrica rimane la metodologia più precisa, e con caratteristiche di misura tali da poter fornire la descrizione dettagliata in termini spaziali delle deformazioni. Le misure geodetiche sono spesso affiancate da reti clinometriche a registrazione continua (Etna, Vulcano, Vesuvio, Campi Flegrei) e mareografiche; alcuni sensori gravimetrici permanenti sono stati posizionati in via sperimentale sull´Etna e sul Vesuvio.

Il potenziamento della sorveglianza geodetica è attualmente indirizzato verso l´istituzione di stazioni permanenti multisensore, in cui il ricevitore GPS, possibilmente accoppiato ad un clinometro, può fornire in tempo reale l´evolvere della deformazione sia planimetrica che altimetrica con accuratezze subcentimetriche; se nello stesso sito viene attivata una stazione gravimetrica permanente, i due segnali, confrontati, consentono in molti casi la parametrizzazione della geometria e della dinamica della sorgente del fenomeno vulcanico. Le maggiori difficoltà nell´istituzione di stazioni multi-parametriche dipende dalla scelta del sito in quanto, mentre il sensore GPS può essere fortemente disturbato da radiazioni elettromagnetiche, i clinometri richiedono ambienti termicamente stabili, ed il dato gravimetrico deve essere corretto per gli effetti legati alla variazioni di quota della falda ed alle variazioni di pressione atmosferica, che possono essere della stessa entità di quelli di interesse vulcanologico. Accurati studi di questi effetti di sito, e l´utilizzo di gravimetri in registrazione continua possono effettivamente consentire di monitorare le variazioni gravimetriche con una precisione confrontabile con quella ottenibile nella misura delle variazioni altimetriche, difficilmente raggiungibile tramite rilievi gravimetrici ripetuti su reti anche di piccola dimensione.

Attualmente sono già operanti sull´Etna, Vulcano e Stromboli numerose stazioni GPS permanenti, mentre nell´area Napoletana le prime otto stazioni fisse sono in avanzato stato di approntamento.

La grande mole di dati prodotti dalle stazioni permanenti richiederà l´attivazione di sofisticati sistemi di acquisizione, analisi ed integrazione di dati di diversa provenienza, precisione e significato fisico, per fornire in tempo reale un panorama corretto degli eventuali fenomeni in atto, oltre che per assicurare una efficace diffusione dei dati stessi.

Le stazioni permanenti, pur essendo uno strumento indispensabile per il monitoraggio di deformazioni rapide, non ne possono fornire una descrizione areale completa; risultano pertanto ancora attuali le misure ripetute saltuariamente su reti geodetiche tramite GPS e livellazione.

Un programma completo di sorveglianza geodetico deve prevedere la installazione di stazioni gravimetriche a registrazione continua, affiancato da una rete dalle reti di caposaldi gravimetrici da ribattere con cadenza programmata in base alla dinamica del vulcano.

I programmi potranno prevedere la sperimentazione di tecniche da satellite o da aereo, secondo quanto previsto dalla Linea di Ricerca 4.2.4

c) Monitoraggio Geochimico

La sorveglianza delle emissioni fluide dei vulcani attivi italiani va sviluppata prevedendo il potenziamento dello studio geochimico e del monitoraggio dei gas e delle acque su tutti i vulcani, secondo i seguenti due gruppi di priorità: a) Campi Flegrei, Vulcano, Etna, Stroboli, Vesuvio; b) Ischia e Pantelleria, attraverso:

  • lo sviluppo di sensori specifici e di stazioni multiparametriche per il monitoraggio in continuo delle emissioni a bassa temperatura sui fianchi dei vulcani (fumarole, emanazioni dal suolo, acque sotterranee e sorgenti termali);

  • la sperimentazione di tecniche per il controllo automatico della composizione chimica e di parametri fisici di fumarole ad alta temperatura;

  • lo sviluppo di software specifico che, in base a modelli predefiniti, consenta l´elaborazione in tempo reale dei dati acquisiti per la sorveglianza;

  • lo sviluppo di modelli chimico-fisici per l´interpretazione dei dati raccolti relativi a gas vulcanici e ad acque in termine di previsione dell´eruzione;

  • lo studio sperimentale dei processi di interazione fluidi roccia.

Vanno inoltre previsti:

  • l´intensificazione del monitoraggio delle emissioni gassose crateriche dell´Etna e di Stromboli attraverso telerilevamento (COSPEC, FTIR, Lidar, Radar, etc.) (vedi linea di ricerca 4.5);

  • lo sviluppo dell´analisi dei gas disciolti inclusi nei magmi (inclusioni vetrose e fluide) per vincolare le loro abbondanze iniziali e il loro comportamento durante la degassazione magmatica;

  • lo studio sperimentale delle solubilità dei volatili nei magmi dei vulcani italiani;

  • la valutazione dei rischi legati alle emissioni gassose sui vulcani italiani attraverso misure e modelli della loro possibile dispersione in zone abitate;

  • la valutazione sistematica dei flussi gassosi globali emessi dai vulcani attivi italiani.

d) Monitoraggio dell´attività eruttiva

Durante l´attività eruttiva va prevista l´esecuzione di una serie di osservazioni necessarie a seguirne l´evoluzione e a prevederne l´andamento. In particolare devono essere previsti:

Monitoraggio petrologico.

Negli anni ´90 è stata verificata la validità degli studi sull´abbondanza e dimensioni delle fasi minerali presenti nelle lave e sulle variazioni geochimiche dei prodotti eruttati per rivelare importanti variazioni che intervengono nel sistema di alimentazione più superficiale del vulcano, dovute ad arrivi di nuove porzioni di magma ed al loro mescolamento con il magma residente. La misura di questi parametri, accompagnata da quella della composizione chimica e della abbondanza degli elementi incompatibili, è quindi uno strumento importante per la previsione dell´evoluzione dello stato eruttivo del vulcano. Campionamenti sistematici devono essere fatti all´Etna e a Stromboli sia durante i maggiori episodi eruttivi, sia durante le fasi di attività persistente, sia per rivelare eventuali variazioni nel sistema magmatico che per approfondirne il significato.

Misure delle variazioni di parametri fisici e chimici dei prodotti nel corso dell´attività.

Calcolo del bilancio energetico e delle sue variazioni, attraverso l´analisi delle immagini da telecamere fisse, di dati telerilevati e gli studi dei parametri fisici e petrologici

Monitoraggio delle nubi vulcaniche. Questo problema è di interesse soprattutto per il traffico aereo nella zona dell´Etna e deve essere affrontato elaborando misure da satellite e dati raccolti al suolo.

 

 

4.2.1.3 Sviluppo di nuove metodologie

a) Sismicità e deformazioni

Molte delle sorgenti di attività sismica nei vulcani sono in relazione con l´attività fluido dinamica e con i meccanismi eruttivi, ma le tradizionali reti sismiche non consentono un´adeguata discriminazione dei segnali. Le esperienze condotte recentemente su diversi vulcani, anche italiani (Stromboli, Vesuvio) hanno rivelato che l´approccio più promettente per discriminare segnali in un intervallo di frequenze di diversi ordini di grandezza consiste nell´accoppiamento di reti di sismometri a larga banda con misuratori del tensore delle deformazioni ad alta sensibilità e in registrazione continua. Ciò richiede l´installazione di sensori in pozzi profondi alcune centinaia di metri o in gallerie e lo sviluppo di metodologie numeriche per l´elaborazione del segnale. La disponibilità di questo tipo di dati deve avere come conseguenza valutazioni sistematiche del tensore momento che permettono di vincolare la deformazione sismica. Una migliore definizione del campo d´onda può avvenire attravreso l´utilizzazione di arrays.

Le osservazioni in pozzi profondi consentono inoltre di aumentare di diversi ordini di grandezza il rapporto segnale/rumore, diventando di estrema utilità in vulcani, quali quelli dell´area napoletana, situati in zone ad alto rumore industriale, o per tentare di rilevare le microdeformazioni legate ad eventi esplosivi anomali.

Dovranno quindi essere proseguite le ricerche in atto nell´area napoletana, prevedendo anche di estenderle a vulcani ad alta dinamica, quali l´Etna e Stromboli.

b) Metodologie non tradizionali

I metodi basati sulle deformazioni del suolo e sull´attività sismica possono essere integrati dai metodi elettromagnetici e dei campi di potenziale. Modifiche del campo di sforzo e dello stato termo-fluido dinamico all´interno di un vulcano provocano infatti sensibili variazioni della densità, delle proprietà magnetiche e della resistività elettrica. L´uso congiunto dei metodi elettromagnetico e dei campi di potenziale, e lo sviluppo di adeguate metodologie numeriche di elaborazione, cross-correlazione e modellistica, da applicare a serie temporali raccolte attraverso misure continue o ripetute è da applicare soprattutto nei vulcani caratterizzati da rapide variazioni di dinamica, quali Stromboli ed Etna. Per applicazioni dei metodi elettromagnetici ai Campi Flegrei e a Vulcano è inoltre essenziale lo sviluppo di strumentazioni elettromagnetiche che consentano misure in mare.

In campo geochimico un´attenzione particolare dovrà essere rivolta alla sperimentazione e sviluppo di sistemi adatti al monitoraggio continuo e automatico di fumarole, acque, gas del suolo, in modo da consentire una più stretta correlazione con i parametri geofisici.

 

 

4.2.2 SCENARI ERUTTIVI E VALUTAZIONE DELLA PERICOLOSITA´

L´efficacia dei piani di emergenza vulcanica della Protezione Civile dipendono in larga misura dalla capacità di prevedere con un adeguato anticipo lo scenario eruttivo sia per quanto riguarda i fenomeni attesi che la loro sequenza temporale e la loro durata. In questi anni sono stati fatti sforzi rilevanti per conoscere come funzionano i diversi vulcani attivi, sia attraverso studi che riguardano il sistema di alimentazione magmatica, sia attraverso la ricostruzione della loro storia eruttiva. Ciò ha consentito di prospettare gli scenari e le zonazioni di pericolosità per l´evento atteso nel breve e medio termine (50-100 anni) per la gran parte dei vulcani attivi italiani. Il grado di approfondimento è però abbastanza diverso da vulcano a vulcano e alcuni aspetti di rilievo sono ancora aperti. Lo scenario dell´eruzione attesa necessita costanti miglioramenti per adeguarlo ai progressi del quadro conoscitivo che deve essere impostato su standard rigorosi e confrontabili, e su approcci possibilmente quantitativi per garantire un adeguato supporto scientifico alla Protezione Civile.

Di seguito verranno schematizzate le linee guida su questa tematica. Si rimanda all´esame del documento sullo stato di avanzamento delle ricerche per l´identificazione dei principali problemi rimasti irrisolti per i singoli vulcani.

In questa tematica convergono le ricerche finalizzate alla definizione dell´evoluzione del sistema vulcanico dallo stato pre-eruttivo fino all´eruzione. Le ricerche dovranno comprendere:

  • La conoscenza della storia eruttiva e magmatica del vulcano al fine di identificare i processi e i parametri chimico-fisici che hanno caratterizzano la dinamica del vulcano

  • La conoscenza dello stato attuale del vulcano, cioè gli aspetti tettonici, quelli strutturali, le caratteristiche fisico-chimiche del magma, della sua componente volatile e del sistema incassante

  • La modellizzazione dei processi pre-eruttivi ed eruttivi al fine di prevederne la dinamica futura sulla base dei parametri misurati

Si ritiene importante sottolineare quanto questi tre aspetti siano tra loro integrati e necessitino quindi di uno sviluppo armonico cercando di colmare le carenze in alcuni settori. Per la definizione di modelli fisici di funzionamento è necessario definire adeguatamente le condizioni al contorno del sistema e le condizioni iniziali necessarie per la simulazione della dinamica futura. E´ necessario che la conoscenza dello stato del vulcano sia basata su un insieme completo di misure affidabili tali da definire univocamente il sistema. In particolare gli sforzi dovranno tendere alla conoscenza dei parametri che assumono un carattere critico nella dinamica del sistema vulcanico (quali contenuto in gas, cinetica di essoluzione, ecc.), anche attraverso misure ed esperimenti di laboratorio. D´altro canto gli studi di modellistica devono individuare quei parametri che giocano il ruolo maggiore nella dinamica eruttiva sui quali concentrare maggiormente gli sforzi. I modelli stessi devono essere in grado di fornire chiavi di lettura realistiche dei vari fenomeni attraverso la descrizione quantitativa dei processi dominanti. Le ricerche finalizzate alla definizione dell´eruzione attesa devono tener conto delle interpretazioni che derivano dal monitoraggio geofisico e geochimico dei diversi vulcani. Al fine di determinare le aree soggette ad apertura di nuove bocche eruttive è necessaria la conoscenza dei meccanismi di fratturazione, del campo di stress, della struttura del sistema vulcanico e delle proprietà meccaniche delle rocce. Le ricerche vulcanologiche, geologiche, petrologiche, geochimiche e geofisiche dovranno essere focalizzate alla comprensione del sistema vulcanico recente ed attuale che abbiano convincente applicazione alla definizione dell´evento atteso e/o quelli possibili. Per quanto riguarda il sistema magmatico e la sua evoluzione recente è necessario che vengano approfonditi gli studi sui parametri intensivi e quelli che definiscono le proprietà chimico-fisiche dei fusi silicatici e della loro componente volatile facendo ampio ricorso a tecniche microanalitiche innovative, alla petrologia sperimentale, e alla termodinamica. Le ricerche relative alla componente volatile dovranno essere orientate anche a consentire la identificazione della componente magmatica nei gas emessi in superficie.

E´ necessario migliorare il livello di attendibilità del quadro previsionale attraverso ricerche metodologiche di geocronologia idonee a determinare età recenti (inferiori a 10.000 anni) per il calcolo dei tempi di riposo del vulcano e la durata delle eruzioni. Questo obiettivo non può essere perseguito senza una riflessione sui metodi di datazione che coinvolga la comunità internazionale.

Per quanto riguarda i vulcani caratterizzati da dinamica esplosiva è necessario che l´eruzione attesa sia individuata e ricostruita in tutte le sue fasi, con priorità a quelle che si verificano nello stadio iniziale, che hanno rilievo ai fini della valutazione dei precursori, e a quella/quelle fasi che hanno in sè i contenuti di massima pericolosità. Dovranno essere altresì sviluppati studi di vulcanologia fisica, integrando la modellistica, gli studi vulcanologici e le indagini di laboratorio per individuare la dinamica della camera magmatica, i processi di risalita e degassamento nel condotto, le dinamiche di frammentazione e i processi di trasporto. E´ necessario sviluppare approcci quantitativi che consentano di modellizzare queste fasi e di enucleare quei parametri, concentrazione, distribuzioni granulometriche delle particelle, caratteri del trasporto, essenziali perchè le simulazioni raggiungano quel grado di affidabilità da poter essere utilizzate nella valutazione quantitativa della pericolosità.

Le emergenze vulcaniche avvenute negli ultimi decenni all´Etna hanno messo in luce la necessità di prevedere con opportuno anticipo la dinamica della propagazione della lava e dell´evoluzione dell´eruzione, al fine di predisporre preventivamente le misure di protezione civile. Le ricerche sulle deformazioni, la sismicità e la geochimica dovranno essere integrate da opportuni modelli in grado di diagnosticare le intrusioni di magma e prevedere l´approssimarsi e l´evoluzione di eventi eruttivi. In particolare esse dovranno tendere alla stima della durata dell´evento, della massa eruttata, e la distanza che potrà raggiungere la colata lavica. Le tecniche di telerilevamento dovranno consentire la conoscenza della nuova topografia vulcanica a seguito degli eventi eruttivi (vedi tema telerilevamento).

Oltre a questi aspetti, una attenzione particolare dovrà essere rivolta al fenomeno delle esplosioni maggiori dello Stromboli che costituiscono una reale minaccia per i turisti. In particolare occorre indagare sui meccanismi che le causano e, possibilmente, identificarne i precursori.

Alcuni vulcani presentano fenomeni di potenziale instabilità gravitativa (Etna, Vulcano e Stromboli) che in alcuni casi possono innescare la formazione di tsunami e/o eventuali fenomeni esplosivi connessi alla depressurizzazione del sistema vulcanico. Attraverso ricerche geologico-strutturali integrate con indagini di geologia marina (vedi tema specifico) è necessario pervenire alla migliore documentazione degli eventi passati e alla comprensione dei meccanismi di innesco dei vari fenomeni. Gli scenari di collasso di versante che prevedono il riversarsi in mare della massa di frana dovranno essere utilizzati al fine di modellizzare scenari di tsunami potenzialmente generabili.

 

 

4.2.3 DEFINIZIONE DEL RISCHIO, LIVELLI DI ALLERTA E GESTIONE DEL TERRITORIO

 

4.2.3.1 Rischio

La definizione del rischio vulcanico costituisce uno degli obiettivi prioritari del GNV e della Protezione Civile che ne finanzia le ricerche. La valutazione del rischio implica necessariamente l´integrazione delle conoscenze scaturite dalla definizione degli scenari eruttivi, con i dati sulla vulnerabilità e quelli relativi all´utilizzo del territorio. La definizione operativa dei livelli di allerta è strettamente legata sia alla disponibilità di una rete di sorveglianza, sia a modelli per l´interpretazione delle eventuali anomalie dei parametri misurati. Questa linea di ricerca tende a:

  • Promuovere gli studi e le indagini per la definizione della vulnerabilità degli edifici, della viabilità, delle infrastrutture e delle varie capacità produttive in aree vulcaniche a rischio

  • Sviluppare sistemi automatici per la gestione del territorio e delle emergenze vulcaniche.

I risultati delle ricerche finalizzate alla definizione degli scenari eruttivi e della pericolosità verranno integrate con le informazioni territoriali, anche attraverso la costituzione di banche dati (GIS) utilizzabili per la produzione automatica di carte di zonazione del rischio ed utilizzabili per la programmazione dello sviluppo territoriale e produttivo. La messa a punto di protocolli chiari, utilizzabili per la definizione dei livelli di allerta di un vulcano, rappresenta uno degli obiettivi più ambiziosi della vulcanologia. Durante una crisi vulcanica, la Comunità Scientifica viene caricata di una grande responsabilità da parte del Dipartimento della Protezione Civile che basa le sue decisioni sulle informazioni sullo stato del vulcano e la possibilità di previsione dell´evoluzione dei fenomeni. E´ compito della Comunità Scientifica individuare e monitorare quei parametri ritenuti significativi per la diagnosi dello stato del vulcano e sviluppare modelli affidabili di previsione in grado di gestire in modo integrato i diversi dati osservati. Una possibile strada potrebbe essere la promozione di ricerche finalizzate allo sviluppo di modelli analoghi a quelli utilizzati in "decision making" (es: teoria dei giochi, ecc.), da sottoporre a collaudo su situazioni reali come il Sant Helens, Pinatubo, Rabaul, Campi Flegrei, Vulcano, Etna, ecc.

 

 

4.2.3.2 Livelli di allerta

Negli ultimi anni sono stati elaborati dalla Protezione Civile piani di emergenza per aree ad elevato rischio vulcanico quali il Vesuvio, i Campi Flegrei, l´Etna, Vulcano e Stromboli (per questi ultimi tre ancora allo stato preliminare). I piani di emergenza sono basati sulla definizione del tipo di eruzione attesa. Le misure preventive (evacuazione delle zone a diverso rischio etc.) sono basate sulla individuazione di livelli di allerta definiti in base alla evoluzione dei fenomeni che più frequentemente precedono le eruzioni (essenzialmente attività sismica, deformazioni del suolo, variazioni geochimiche dei gas e di flusso di massa e di energia). Su tutti i vulcani attivi italiani operano delle reti di sorveglianza per rilevare questi fenomeni. Tuttavia la evoluzione di essi varia significativamente sia tra diversi tipi di vulcano che per uno stesso vulcano (vedi ad esempio le tre eruzioni del vulcano Usu avvenute negli ultimi cento anni).

Per vulcani che come il Vesuvio, sono caratterizzati da eruzioni esplosive che avvengono ad intervalli di diverse decine o centinaia di anni, un miglioramento della conoscenza del comportamento pre-eruttivo del vulcano può avvenire attraverso lo studio della documentazione storica sui periodi precedenti forti eruzioni esplosive e studiando il comportamento di vulcani con caratteristiche eruttive analoghe, al di fuori del territorio italiano, e per i quali sono disponibili dati geofisici o geochimici. Tali studi sono attualmente fortemente carenti. Inoltre è necessario verificare i criteri utilizzabili per la definizione dei livelli di allerta applicando modelli di teoria delle decisioni e attraverso simulazioni numeriche delle modifiche attese nei parametri fisici e delle conseguenti variazioni della fenomenologia pre-eruttiva osservabili con le reti di sorveglianza esistenti sul vulcano.

Sono pertanto incluse nel programma:

  • ricerche storiche tendenti ad accertare l´insorgere o meno di fenomeni pre-eruttivi avvertiti dalla popolazione in occasioni delle forti eruzioni esplosive del Vesuvio (particolarmente quella del 1631, che è stata assunta come eruzione di riferimento per il piano di emergenza, ma anche per altre eruzioni storiche ad esempio quelle del 1679 e del 1906);

  • ricerche sul comportamento pre-eruttivo di vulcani monitorati che hanno dato luogo ad eruzioni sub-pliniane dopo almeno decine di anni di riposo;

  • applicazione dei metodi di teoria delle decisioni al problema della gradazione dei livelli di allerta pre-eruttiva;

  • simulazione numerica delle fenomenologie risultanti dalle variazioni termiche, di sforzo e di deformazione indotte da processi pre-eruttivi con riferimento ai Campi Flegrei, al Vesuvio e all´Etna, vulcani per i quali sono disponibili i modelli strutturali più attendibili.

 

4.2.3.3 Gestione del territorio

La continua espansione delle zone edificate in aree vulcaniche attive, accresce il valore esposto al rischio e pone alla società il problema della pianificazione del territorio. Dal punto di vista scientifico, gli elementi essenziali per affrontare tale problema sono la zonazione della pericolosità, gli studi di vulnerabilità e la conoscenza delle risorse a rischio nel territorio. Data la complessità del problema, e l´estrema eterogeneità dei diversi fattori, la gestione del territorio richiede l´implementazione di Sistemi Informativi Territoriali in grado di gestire la grande quantità di informazioni. Queste banche dati devono contenere nei diversi "layers", le aree edificate, le infrastrutture, la topografia, l´uso del territorio, la viabilità, le capacita´ produttive, i depositi di materiale infiammabile, gli ospedali, la vulnerabilità, e la pericolosità dedotta dallo studio degli scenari eruttivi e dei processi distruttivi attesi. Tali sistemi devono rispondere a criteri standard e devono essere interfacciabili con analoghi sistemi utilizzati dalle diverse strutture pubbliche operanti nel territorio (Ufficio Tecnico del Comune, USL, Azienda dei Trasporti, ENEL, ecc.). Si ritiene inoltre importante raccogliere le esperienze di emergenze e di evacuazioni condotte in altre aree del mondo e di cercare di integrare tali informazioni nei diversi sistemi attraverso opportuni modelli. Alcuni aspetti di carattere interdisciplinare, come ad esempio di psicologia del comportamento umano e studi sulla diffusione di messaggi alla popolazione dovrebbero essere considerati nei sistemi di gestione delle emergenze e durante la redazione delle linee guida scientifiche per la gestione del territorio.

 

 

4.2.4 SVILUPPO ED APPLICAZIONI DI METODI DI TELERILEVAMENTO

Il progetto è finalizzato alla messa a punto di metodologie innovative legate in generale al telerilevamento. La disponibilità di nuovi sensori, in molti casi montati su satelliti, il loro prevedibile sviluppo nei prossimi anni, e alla possibilità di utilizzare molti di essi anche da aereo o elicottero, rappresentano uno strumento di grande potenzialità per il monitoraggio dei fenomeni connessi con l´attività vulcanica.

I rilievi ripetuti tramite la metodologia SAR, la Fotogrammetria digitale, la Scansione Laser, ecc.., possono consentire la definizione spaziale continua del campo di deformazione legato ai processi di intrusione di masse magmatiche, e la valutazione delle modificazioni morfologiche connesse con l´attività vulcanica, quali le colate e le frane, ad integrazione delle misure terrestri periodiche o al monitoraggio continuo tramite stazioni GPS (considerate nel progetto 4.2.1).

L´identificazione di variazioni termiche nel tempo e nello spazio può essere indicativa dell´intrusione di corpi magmatici oppure dell´aumento di esalazioni gassose, e può costituire un indicatore di modifiche dello stato di attività.

La caratterizzazione termica delle colate tramite misure di flusso radiante può risultare un elemento di grande importanza nella modellizazione della messa in posto delle colate stesse.

Il monitoraggio con metodi radar dell´evoluzione delle colonne e nubi eruttive e della loro dispersione in funzione dei venti dominanti è utile per valutare la velocità di espulsione, altezza e spessore della colonna eruttiva e quindi stimare la massa dei prodotti solidi e gassosi nonchè l´energia cinetica e termica dell´eruzione.

Il monitoraggio del degassamento dei magmi attraverso le misure di flusso di gas nei plumes (LIDAR, FTIR, TIMS, Radar, Sodar) è un elemento di interesse centrale per la dinamica eruttiva.

Per sfruttare a pieno le potenzialità delle metodologie di telerilevamento è indispensabile creare presso gli enti coinvolti nella ricerca e nella sorveglianza vulcanica competenze specifiche e strutture operative dotate dell´esperienza e della strumentazione necessaria per poter effettuare soprattutto interventi tempestivi nei periodi di emergenza.

Le attività principali del progetto sono:

  • Sviluppo di sistemi di rilevamento di gas e particelle capaci di operare in aree vulcaniche

  • Sviluppo di metodi osservativi ed algoritmi di analisi automatica delle immagini

  • Progettazione e sperimentazione di sensori multispettrali per osservazioni da aereo ed elicottero

  • Produzione di mappe metriche e tematiche tramite l´uso di immagini digitali o analogiche, riprese da sensori attivi o passivi montati a bordo di aereomobili o satelliti artificiali.

  • Validazione dei dati telerilevati tramite misure a terra e test di laboratorio

  • Integrazione delle osservazioni telerilevate previste in questo progetto con quelle derivate dai metodi di monitoraggio a terra previsti nel progetto "Metodologie di sorveglianza"

  • Predisposizione di banche dati di riferimento (SAR, fotogrammetria, DEM, caratteristiche di retrodiffusione dei terreni, mappe tematiche)

  • Metodologie di trasferimento e aggiornamento di informazioni metriche e tematiche nei GIS relativi alle diverse aree vulcaniche, per una migliore gestione delle crisi.

 

4.2.5 METODI INNOVATIVI ED INTEGRATI PER LO STUDIO DELLA STRUTTURA DEI VULCANI

La disponibilità di modelli attendibili di variazioni spaziali delle proprietà fisiche della crosta sottostante i vulcani attivi italiani è di enorme importanza sia per la localizzazione di serbatoi magmatici di dimensioni significative sia per la localizzazione e interpretazione delle sorgenti di fenomeni precursori quali terremoti e deformazioni del suolo.

Tecniche basate su approcci tradizionali di analisi dei segnali e di inversione sono state utilizzate su tutti i vulcani italiani fornendo risultati ormai difficilmente migliorabili in modo significativo utilizzando le stesse tecniche.

Per un progresso sostanziale nella attendibilità dei modelli geofisico-strutturali è necessario sviluppare e applicare metodologie di esplorazione e di analisi che tengano conto della estrema eterogeneità delle strutture vulcaniche e delle particolari condizioni operative nelle quali si è costretti ad operare sui vulcani italiani (alto rumore, alta densità abitativa, ecc.) ed utilizzare metodologie di inversione tridimensionale. Le recenti esperienze di acquisizione ed elaborazione di dati di sismica attiva e di terremoti per le esplorazione sismica hanno mostrato che l´utilizzo congiunto di fasi dirette, rifratte e riflesse/convertite e la loro inversione congiunta a quella dei dati gravimetrici possono fornire una determinazione tridimensionale di dettaglio della struttura vulcanica inclusi eventuali serbatoi magmatici intracrostali. Per questo scopo è necessario analizzare l´intera informazione contenuta nei sismogrammi (tempi di arrivo, ampiezza, polarità, fasi) e utilizzare algoritmi che consentano una valutazione della risoluzione e della stabilità dei modelli. Di particolare interesse sono le conoscenze sulla anelasticità delle strutture vulcaniche deducibile da studi di attenuazione delle onde sismiche.  Inoltre è necessario che vengano sviluppati gli algoritmi necessari all´utilizzo dei modelli strutturali 3D per la localizzazione dei terremoti. Analogamente, anche nell´interpretazione di rilievi di potenziale spontaneo, di geoelettrica ed elettromagnetici progressi sostanziali sono legati agli sviluppi della modellistica tridimensionale e di algoritmi che consentano di valutare la densità di probabilità di presenza di anomalie. In particolare, le più recenti esperienze hanno dimostrato che è possibile ricostruire in modo probabilistico la geometria degli accumuli di cariche elettriche (SP), delle anomalie di conducibilità (geoelettrica) e dei fenomeni di current channeling (elettromagnetismo ad induzione). Inoltre, le ultime indagini teoriche riguardanti misure magnetelluriche a mare hanno mostrato che è possibile esplorare le aree vulcaniche sottomarine, utilizzando versatili e sensibili tecniche magnetovariazionali. Infine, il profondo significato dei fenomeni di dispersione elettrica legati a temperature elevate e a circolazione di fluidi, possono ora permettere l´individuazione delle aree sepolte che più sono affette da alterazioni idrotermali. L´applicazione e l´interpretazione integrata delle varie metodologie (incluse quelle magnetiche e gravimetriche) è l´approccio indispensabile per minimizzare le ambiguità interpretative.

Il progetto di ricerca dovrà quindi prevedere non solo l´applicazione di metodologie geofisiche con criteri moderni per ricostruire le strutture crostali al di sotto aree vulcaniche di particolare interesse, ma anche lo sviluppo e/o l´adattamento di metodologie di analisi dati e/o di tecniche di inversione adatte alle caratteristiche delle strutture indagate.
Indagini di geologia strutturale integrate da modelli di laboratorio sono essenziali anche per l´interpretazione dei modelli geofisici in termini litologici.
Sono inoltre importanti progetti di ricerca innovativi nel campo della petrologia e della geochimica.
Sono da preferire progetti integrati che sviluppano e applicano in modo innovativo diverse metodologie a zone di interesse prioritario quali: Campi Flegrei, Etna, Stromboli, Vulcano.
I dati raccolti nel progetto saranno resi disponibili alla comunità scientifica alla chiusura del progetto sotto forma di una banca dati.

 

 

4.2.6. INDAGINI SULLE PARTI SOMMERSE DEI VULCANI ITALIANI

Finora gli studi sulla evoluzione geologica dei vulcani presenti nel Tirreno hanno utilizzato essenzialmente i dati sulla parte emersa in quanto le informazioni sulle parti sommerse non hanno un necessario dettaglio. Inoltre gli studi sui vulcani emersi e quelli di geologia marina effettuati vicino ad isole, hanno mostrato che le informazioni prossimali sono deficitarie e a volte fuorvianti rispetto agli ambienti medio distali dove la stratigrafia è "scritta" con caratteri più chiari. I rilievi effettuati recentemente con tecnica di multibeam per profondità superiori a 500 metri hanno fornito informazioni estremamente dettagliate della morfologia del fondo marino del Tirreno Meridionale. Questi documenti costituiscono degli utilissimi strumenti di partenza per studi più specifici focalizzati principalmente sulla fascia di profondità 0-500 metri. Esistono inoltre nel Tirreno imponenti vulcani sottomarini quali il Vavilov e il Marsili allungati parallelamente alla direzione di espansione oceanica. La morfologia delle aree sommitali di questi vulcani è caratterizzata da allineamenti di coni e dorsali topografiche tipiche delle zone di rifting. Queste strutture sono generate dalla messa in posto di dicchi lavici che possono accrescere l´instabilità dell´edificio fornendo meccanismi di innesco di cedimenti.

Nel Tirreno Meridionale esiste un rischio legato alla possibile generazione di tsunami per a) collassi e cedimenti strutturali dei fianchi emersi di vulcani insulari ad esempio Stromboli; b) slumps e frane di detriti su piani di scivolamento posti nella parte basale del vulcano, che coinvolgono anche le strutture sommerse; c) frane sottomarine dovute alla instabilità delle coste tirreniche della Calabria e della Sicilia. La valutazione della pericolosità da tsunami delle zone costiere del Tirreno Meridionale costituisce un dato di interesse per la prevenzione di tale pericolo.

Per valutare i rischi connessi all´esistenza delle isole vulcaniche e delle strutture sottomarine connesse, è necessario effettuare rilievi batimetrici di dettaglio soprattutto della fascia compresa tra 0 e 500 metri utilizzando tecniche avanzate multibeam, side scan sonar ed altre metodologie di alto dettaglio e grande copertura, ed immagini visive del fondale. Il riconoscimento e la mappatura dei depositi di collasso e la determinazione del loro spessore deve essere effettuata utilizzando profili acustici e sismici integrati da dragaggi e carotaggi. I risultati dei rilievi dovranno essere utilizzati per una modellistica numerica tridimensionale della generazione e propagazione delle possibili onde di tsunami. Tali ricerche dovranno essere rivolte con priorità ai fenomeni che possono essere generati dal vulcano di Stromboli, ma possono essere estese alle aree sottomarine del Canale di Sicilia che sono state sede di attività vulcanica in epoca storica e alla zona sottomarina prospiciente l´Etna.

 

 

4.2.7. CAMPI FLEGREI

I fenomeni di bradisismo verificatisi negli ultimi trenta anni pongono il problema di una possibile riattivazione del sistema a medio termine. Considerando che nell´area flegrea vivono attualmente circa mezzo milone di persone e che la città di Napoli si trova pochi chilometri ad est delle bocche eruttive degli ultimi 10.000 anni, le ricerche sui Campi Flegrei rivestono una rilevanza assolutamente prioritaria per la Protezione Civile.

I dati ad oggi disponibili indicano che i Campi Flegrei sono una caldera polifasata legata alla presenza di un sistema magmatico superficiale che ha alimentato sia i fenomeni eruttivi che il riscaldamento delle rocce del sottosuolo con associato sviluppo del sistema geotermico. Nel corso degli ultimi 40.000 anni i fenomeni eruttivi sono stati caratterizati da clamorose variazioni di scala e da una sostanziale diminuzione di intensità e magnitudo, cambiando da eruzioni ignimbritiche individuali a gruppi di eruzioni da numerose bocche eruttive.

La caldera dei Campi Flegrei, così come altre caldere attive del mondo, pongono grossi problemi in termini di previsione dell´attività futura.

Gli obbiettivi prioritari per la definizione del sistema e la sua evoluzione ai fini della Protezione Civile sono i seguenti:

1. definizione della struttura, in particolare del sistema di alimentazione (profondità, dimensioni, quantità di magma residuo presente, ecc.);

2. comprensione del meccanismo del bradisismo;

3. definizione dello scenario e della pericolosità, con individuazione dell´area di maggiore probabilità di apertura della bocca eruttiva;

4. valutazione del bilancio di flusso di calore e delle emissioni gassose sull´intero vulcano, compresa l´area sommersa.

L´acquisizione di queste informazioni è fondamentale per la simulazione dei fenomeni eruttivi possibili e dei fenomeni pre-eruttivi attesi.

La capacità di previsione di possibili eventi eruttivi necessita lo studio dei fenomeni fisici e chimici legati alla risalita di magma verso la superficie. La modellazione dello scenario eruttivo e la definizione e zonazione della pericolosità vulcanica richiede un particolare studio basato sull´integrazione delle conoscenze vulcanologiche, geofisiche e geochimiche affiancate allo sviluppo di adeguati modelli quantitativi di funzionamento.

Nei Campi Flegrei è auspicabile l´esecuzione di un sondaggio scientifico profondo nel centro della caldera per la raccolta di informazioni che producano un salto di conoscenza sulla struttura, stato termico e dinamismo del sistema caldera-camera magmatica. Tale sondaggio dovrebbe essere sottoposto come progetto all´International Continental Scientific Drilling Programme (ICDP) e alla Commissione Europea per il cofinanziamento insieme ad organismi e istituzioni nazionali. Le potenzialità scientifiche di una tale operazione sono molteplici e dovrebbero essere valutate e approfondite all´inteno di un progetto di fattibilità che veda la partecipazione di una consistente rappresentanza di ricercatori e istituzioni scientifiche di altri paesi.

 

 

5. ALTRE ATTIVITA´

 

5.1 MOBILITA´ DEI RICERCATORI

La partecipazione, soprattutto dei giovani ricercatori, a programmi di ricerca internazionali di interesse vulcanologico nei quali non sono coinvolti gli enti italiani (ad esempio il progetto M.E.L.T. sullo studio interdisciplinare delle camere magmatiche in ambiente di dorsale) èuno strumento irrinunciabile per la crescita della comunità vulcanologica nazionale. Perchè possano avere un adeguato ritorno in termini di formazione, queste partecipazioni non devono essere sporadiche o di breve durata, ma devono coinvolgere una frazione significativa del progetto stesso. E´ previsto quindi un fondo da destinare a borse di studio da elargire a giovani ricercatori (età inferiore ai 35 anni) per periodi non inferiori ai 2 anni. Periodi di soggiorno più brevi presso laboratori non italiani possono essere previsti su programmi di interesse di singoli Progetti.

E´ inoltre importante incoraggiare la partecipazione di vulcanologi italiani allo studio di eruzioni vulcaniche in altre parti del mondo. A tale scopo è anche accantonata una somma presso la Direzione del Progetto per creare una specifica task-force italiana.

Il Consiglio Scientifico del GNV dovrà bandire i relativi concorsi.

 

 

5.2 INIZIATIVE PER L´EDUCAZIONE DELLA POPOLAZIONE ESPOSTA A RISCHIO

L´educazione della popolazione è un elemento fondamentale per tutti gli interventi di protezione civile. La percezione del pericolo, la conoscenmza delle norme di comportamento più adeguato permettono alla popolazione di affrontare con adeguata preparazione gli inevitabili disagi di un´emergenza.

Attività di informazione e formazione sono previste infatti nell´ambito dei Progetti di emergenza preparati per l´area napoletana ed in preparazione per l´Etna.

Il GNV fornisce consulenza a queste attività e promuove l´educazione ai problemi del rischio vulcanico attraverso lo sviluppo e la realizzazione di strumenti multimediali, filmati e sale di informazione aperte al pubblico ai Campi Flegrei, Vesuvio e Etna, oltre a quelle già esistenti a Stromboli e Vulcano.

Le iniziative su questo punto saranno promosse e coordinate dal Consiglio Scientifico del GNV.
 

 

6. RIEPILOGO DEI PROBLEMI AFFRONTATI PER CIASCUN VULCANO

Le ricerche sui temi esposti nel Capitolo 4, oltre a miglioramenti nelle metodologie e nelle capacità di affrontare problemi di previsione delle eruzioni e di definizione della pericolosità e del rischio, di rilevanza per la Protezione Civile, dovranno affrontare rilevanti problemi ancora aperti per ciascun vulcano. Ci si attende che i progetti relativi al triennio 1999-2001 affrontino i seguenti problemi, in aggiunta all´attività di sorveglianza permanente descritta al punto 4.1.

CAMPI FLEGREI

  • Definizione della struttura, in particolare del sistema di alimentazione (profondità, dimensioni, quantità di magma residuo presente, ecc.)

  • Comprensione del meccanismo del bradisismo

  • Definizione dello scenario e della pericolosità, con individuazione dell´area di maggiore probabilità di apertura della bocca eruttiva

  • Valutazione del bilancio di flusso di calore e delle emissioni gassose sull´intero vulcano, compresa l´area sommersa

  • Accertamento della fattibilità di una perforazione profonda nella caldera flegrea

VESUVIO

  • Definizione di un modello strutturale 3D del vulcano, integrando i dati derivanti dalla tomografia sismica con altri dati geofisici e geologici e strutturali

  • Elaborazione di algoritmi e programmi per la localizzazione dei terremoti vesuviani con modelli di velocità 3D

  • definizione del sistema di alimentazione, integrando i dati derivanti dalla tomografia sismica, con altri dati geofisici, petrologici e geochimici

  • Sviluppo del sistema di sorveglianza di alta sensibilità in pozzo

  • miglioramento del quadro conoscitivo dell´attività del vulcano nel periodo tra il 79 e il 1631, con approfondimento sia delle dinamiche eruttive e deposizionali, sia sui processi magmatici (con prosecuzione degli studi sulle inclusioni fluide)

  • valutazione dei segnali precursori dell´eruzione del 1631 e di altre forti eruzioni esposive (es. 1822 e 1906); definizione dei segnali geochimici precursori di una possibile futura eruzione dello stesso tipo

  • elaborazione di modelli deformativi in campo non elastico

ISCHIA

  • Definizione dello scenario eruttivo per l´eruzione attesa

  • Definizione della dinamica recente dell´isola

  • Definizione dello stato attuale del sistema magmatico

VULCANO

  • Ricostruzione della morfologia della parte sommersa del vulcano attraverso le ricerche di geologia marina

  • Definizione della struttura profonda del vulcano e del sistema di alimentazione attraverso indagini di tomografia sismica attiva essenzialmente offshore e metodi elettromagnetici

  • Ricostruzione dei processi di frammentazione e dei meccanismi deposizionali dei prodotti delle attività vulcaniane

  • Modellizzazione, anche attraverso indagini sperimentali, delle dinamiche di frammentazione idromagmatica

  • Affinamento della simulazione numerica di eruzioni che producono surge

  • Definizione delle specie volatili presenti nel sistema magmatico, dei processi di degassamento e confronto con la composizione ed il flusso dei gas fumarolici

STROMBOLI

  • Ricostruzione della morfologia della parte sommersa del vulcano attraverso ricerche di geologia marina per il riconoscimento, la mappatura e la datazione dei corpi di frana

  • Modellistica degli tsunami che possono essere indotti dalle frane

  • Valutazione della dinamica del sistema di alimentazione tramite bilanci di massa e di energia

  • Indagini sulla possibilità di previsione sugli eventi esplosivi "anomali" durante periodi di attività normale

  • Definizione di modelli per il monitoraggio petrologico

ETNA

  • Definizione delle zone a differente pericolosità

  • Definizione dei possibili scenari eruttivi e della possibilità di prevedere la durata di un evento effusivo

  • Affinamento dei metodi per la previsione con modellistica numerica del percorso di una colata

  • Modellistica numerica delle colate

  • Determinazione dei campi di sforzi e del loro effetto sulla dinamica eruttiva

  • Sviluppo ed automazione della rete di monitoraggio geomagnetico

  • Sviluppo e affinamento del monitoraggio delle emissioni crateriche con metodi di telerilevamento

  • Sviluppo e affinamento del monitoraggio petrologico ai fini della comprensione delle cause delle variazioni osservate

  • Avvio di un sistema di monitoraggio in pozzi profondi.